PIATTO, URBINO, AMBITO DI NICOLA DI URBINO, MAESTRO DEL BACILE DI APOLLO O MAESTRO DELLA DECOLLAZIONE, 1530 CIRCA
in maiolica dipinta in policromia con verde rame, verde oliva, giallo, giallo arancio, blu di cobalto, bruno di manganese nella tonalità del nero e del marrone, bianco di stagno; diam. cm 29, diam. piede cm 11, alt. cm 2,9
A DISH, URBINO, CIRCLE OF NICOLA DI URBINO, “MAESTRO DEL BACILE DI APOLLO” OR “MAESTRO DELLA DECOLLAZIONE”, CIRCA 1530
Bibliografia di confronto
M. Mancini Della Chiara, Maioliche del Museo Civico di Pesaro, Pesaro 1979, n. 61;
J.V.G. Mallet in G.C. Bojani (a cura di), I Della Rovere nell’Italia delle corti, atti del convegno 16-19 settembre 1999, vol IV, Arte della maiolica, Urbino 2002, pp.
89-90;
J.V.G. Mallet, Il pittore del Bacile di Apollo, in “La maiolica italiana del Cinquecento il lustro eugubino e l’istoriato del ducato di Urbino. Atti del convegno di studi.
Gubbio 21-23 settembre 1998”, a cura di G.C. Bojani, Firenze 2002, p. 36 e nota 181;
C. Ravanelli Guidotti, Per il pittore del bacile di Apollo, in “Faenza” XCVII, 2011, pp. 19, 31;
D. Thornton, T. Wilson, Italian Renaissance Ceramics, A Catalogue of the British Museum’s Collection, Londra 2009, pp. 528-529 n. 328
T. Wilson, Italian Maiolica and Europe. Medieval, Renaissance and later Italian pottery in the Ashmolean Museum, Ashmolean Museum, Oxford 2017, pp. 251-253
n. 111;
T. Wilson, The Golden Age of Italian Maiolica Painting, Torino 2019, p. 202, n. 87, pp. 394-396, nn. 174-175.
Il piatto ha cavetto ampio e profondo, tesa larga e appena obliqua, orlo arrotondato, e poggia su un piede piano piuttosto ampio. Il verso è privo di decorazione. Sul recto una scena istoriata: San Girolamo eremita in meditazione in un paesaggio roccioso, mentre sullo sfondo una città con contrafforti si erge su un monte neipressi di un lago. Lo stile è severo e ordinato, e la scena a tutto campo è scandita anche dalle grandi dimensioni del piatto. La protagonista qui è la natura, nella quale il santo si è isolato: la roccia fa da schermo alla civiltà, che appare solo sullo sfondo con stilemi tipici dell’ambito marchigiano, mentre il personaggio principale, pur relegato sulla tesa, è pacato protagonista con la mano appena alzata in meditazione davanti a un sottile crocifisso su cui il Cristo è appena delineato in bianco di stagno. I dettagli sono resi con attenzione: il teschio su una radice secca e scura, il cappello cardinalizio a terra accanto al Vangelo chiuso, e il leone, piccolo e mansueto, accucciato nella caverna, così come gli alberi scuri dal tronco sinuoso caratterizzati da un nodo alla radice, le rocce alte e frastagliate con elementi vegetali su zolle erbose e i ciottoli, anch’essi realizzati con perizia e attenzione al punto da dar loro forma e consistenza. La mano del pittore è sicura, e la materia, abbondante, ha subito un‘eccessiva cottura, lasciando un effetto puntinato un poco opaco, che determina però una consistenza importante al manto abbassato in grembo al Santo eremita. La figura del santo è ben proporzionata rispetto alla roccia che funge da quinta architettonica ed è protagonista della scena.
La recente rilettura delle opere dei due più noti maestri maiolicari e la loro cronologia, unita alla sempre più accurata pubblicazione delle opere istoriate del periodo, provano - come afferma John Mallet - come nello sviluppo dello stile pittorico urbinate abbiano contemporaneamente partecipato sia Xanto Avelli che Nicola da Urbino. E la difficoltà attributiva di piatti della qualità dell’opera in esame conferma la vivacità creativa delle botteghe urbinati, tra le quali ricordiamo quelle di Guido da Merlino e di Guido Durantino.
Per composizione e realizzazione stilistica il piatto s’inserisce pienamente nell’ambito cronologico relativo al primo trentennio del Cinquecento, ma si distingue per stile pittorico, più affine alle prove maggiori di Nicola da Urbino, conducendoci quindi verso un’attribuzione a personalità artistiche prossime all’opera del maestro urbinate quale il Pittore del Bacile di Apollo o anche il Pittore della Decollazione o Pittore di Enea in Italia. Il primo pittore trae il nome da un bacile conservato al Museo di arti applicate di Milano e ascritto ad un arco cronologico posteriore al 1532 da un bacile che reca tale data conservato nel museo di Pesaro, è stato identificato e studiato da John Mallet. Il confronto con particolari presenti in opere del pittore, ad esempio la radice che sorregge il teschio del nostro piatto con la radice al centro del cavetto nel piatto con Giuditta con la testa di Oloferne del British Museum (inv. 1878,1230.437), unitamente allo stile degli alberi e dei ciottoli o al panneggio delle vesti farebbero ipotizzare la mano del Pittore del Bacile di Apollo in quest’opera. Anche l’uso della natura qui protagonista nel piatto con la Cacciata di Adamo ed Eva nello stesso museo londinese (inv. 1855,1201.43), in cui i volti seri, quasi imbronciati e l’ampio uso del bruno di manganese trovano riscontro nella nostra opera. Affinità ancora maggiori le troviamo con un’opera della collezione Biscontini Ugolini recentemente transitato sul mercato, caratterizzato dall’applicazione del lustro, che raffigura una scena dantesca, che condivide con il nostro la medesima qualità pittorica, a conferma inoltre della capacità del pittore di affrontare con disinvoltura tematiche istoriate assai differenti, come ampiamente dimostrato nello studio di Carmen Ravanelli Guidotti relativo ad altre opere di questa personalità artistica. Detto ciò il confronto con le opere di un altro pittore, anch’esso non ancora completamente identificato, ci fornisce un interessante spunto di riflessione: il pittore, variamente definito dagli studiosi come il Pittore della Decollazione o Pittore di Enea in Italia. Il confronto, fondamentale, nel piatto con la Decollazione di San Giovanni dell’Ashmolean Museum mostra alcuni personaggi barbati che hanno affinità con il nostro personaggio: il volto imbronciato, gli occhi piccoli incavati nella fronte un poco prominente alle sopracciglia. Un piatto già transitato in questa sede e attribuito a questa personalità artistica da Timothy Wilson nella pubblicazione di un’importante collezione genovese trova infine riscontri stilistici e pittorici molto calzanti con il piatto in oggetto di studio: la mano del Cristo che riceve Maria Maddalena, dalla veste bruno manganese, riproduce il gesto del nostro San Girolamo. Lo stile sicuro, il colore steso e un poco diluito, il paesaggio disposto in salita arroccato sullo sfondo e una accurata disposizione all’interno del piatto ci confortano nell’attribuzione pur nella consapevolezza che ci troviamo di fronte a una personalità molto prossima alla figura di Nicola di Urbino.