EMILIO SCANAVINO
(Genova 1922 - Milano 1986)
Senza titolo
1982
acrilico e matita grassa su cartone applicato su compensato
cm 50,5x45,2
firmato in basso a destra
L'opera è accompagnata da autentica su fotografia dell'Archivio Emilio Scanavino.
L'opera è registrata presso l'Archivio Emilio Scanavino col n. 19/82/K.
“I segni decisi, metodicamente sovrapposti, si alternano a macchie di colore sfumate e a ghirigori meno perentori. Il ciclo biologico della vita narrato da Scanavino è tutto misurato, calibrato e intuito in quei grovigli. Nelle sue opere la nascita, l’esistenza, la morte si ripetono all’infinito come i segni degli “alfabeti” che ha inventato per esprimere agli altri la propria visione del mondo.”
Rachele Ferrario, Emilio Scanavino, opere dal 1954 al 1984, Galleria Tonelli, Milano, 1996
Negli anni del dopoguerra Emilio Scanavino rivoluziona la sua pratica artistica, a metà degli anni cinquanta elabora le prime tele con quello che poi diventerà il suo segno caratteristico che può variare per costruzione e conformazione, per dimensione, per dinamica gestuale, sia che si espanda sulla superficie sia che venga compressa fino al minimo, ma mai nella sua struttura nodale e nel gesto germinale che lo ha determinato.
Il cambiamento avvenne nel contesto artistico internazionale, fondamentale fu il viaggio a Parigi nel 1947 quando si recò per la prima volta a Parigi ed ebbe modo di incontrare poeti e artisti come Edouard Jaguer, Wols, Camille Bryen, già nel 1950 lo vediamo partecipe alla XXV Biennale di Venezia. Nel 1951 si traferì a Londra per la mostra personale alla Apollinaire Gallery dove conobbe e frequentò Philip Martin, Eduardo Paolozzi, Graham Sutherland e Francis Bacon. Frequentava assiduamente la fabbrica di Ceramiche Mazzotti ad Albissola Marina, dove strinse amicizia con molti artisti tra questi Lucio Fontana, Asger Jorn, Guillame Corneille, Sebastian Matta, Wifredo Lam, Tancredi, Giuseppe Capogrossi e Enrico Baj. Nel 1954 ritorna alla XXVII Biennale di Venezia e l'anno dopo ricevette il Premio Graziano. Nel 1956 le sue opere furono esposte, unitamente alle opere dell'artista americana Sarah Jackson, nella mostra This is Tomorrow alla Whitechapel Art Gallery di Londra. Nel 1958 vinse il Premio Lissone e partecipò con una sala personale alla Biennale di Venezia, vinse il Premio Prampolini, Nel 1957 si trasferisce a Milano e inizia la collaborazione con la Galleria del Naviglio diretta dal gallerista Carlo Cardazzo quindi trasferì con la famiglia a Milano. Il grande successo arriva nel 1960 con la con una sala personale alla Biennale di Venezia dove riscosse notevole successo di pubblico e di critica.
Nelle opere degli anni '70 il nodo è perfettamente delineato e riconoscibile, declinato in inquietanti forme, talvolta minacciose e macchiate di rosso sangue. Molti critici si occuparono della sua opera tra cui Enrico Crispolti, Giampiero GIani, Roberto Sanesi, Gillo Dorfles, Franco Russoli e Alain Jouffry. Lontano da movimenti e gruppi ma amico di tutti, Emilio Scanavino passa da un’esposizione all’altra, sia in Italia sia all’estero, sostenuto da grandi nomi della critica del tempo che lo definisce, "un poeta dell’inquietudine contemporanea", Guido Ballo definiva così l’arte di Scavavino: Ed è sempre la lotta tra il finito e l'infinito, tra il relativo e l'assoluto, tra l'immobilità e il divenire nel tempo. Nelle trame di Scanavino si nasconde l’inquietudine dell’esistere, espressione di un moto interiore che non da tregua e chiede di essere svelato, come lui stesso amava definirsi: sono un mediatore di emozioni.