LUIGI ONTANI
(Vergato 1943)
ErmEstetica NeronEros
anni 90
ceramica policroma realizzata con Bottega Gatti, Faenza (tre parti)
cm 187x62x57
sotto la base disegno dell'artista
Provenienza
Studio dell'Artista
Collezione privata
Luigi Ontani, senza esitazione uno dei più grandi artisti che la storia dell’arte conosce, nasce nel 1943 a Vergato, nell’Appennino Emiliano, ed è testimone di un’epoca, quella del dopoguerra in particolare, assillata dall’esigenza di essere moderni ma profondamento coinvolta nel culto dell’Antico. Egli muove i suoi primi passi nel mondo dell’arte quasi per gioco, durante un breve servizio militare a Torino, in cui entra in contatto con l’Avanguardia artistica di allora. Sono gli anni ’60 e l’artista realizza i suoi primi Oggetti pleonastici, oggetti inutili e superflui che egli usa come una sorta di talismani. Il culto e ammirazione dell’antico si fa sempre più vivo in Ontani, complici i suoi petit tour nella capitale, Roma, di cui visita musei, monumenti, rimanendone sempre più affascinato. Inizia ad esporre in varie gallerie ed istituzioni, ricordiamo la mostra a L’Attico di Roma con Fabio Sargentini nel 1970, e proprio nello stesso decennio l’artista sperimenta anticipatamente rispetto alla storia dell’arte contemporanea, una geniale nuova forma artistica, i tableaux vivants. In queste opere, a differenza della performance che si svilupperà negli USA negli anni a venire, Ontani intende allontanarsi dall’idea del corpo come mero allenamento, e tende piuttosto ad un dialogo col mondo antico, nel tentativo, ben riuscito, di esprimere nella contemporaneità quegli elementi della storia del mondo e dell’umanità, presenti dall’archeologia alla storia dell’arte, che molte volte rimangono emarginati.
È difficile, se non impossibile, circoscrivere il lavoro di Ontani e il suo essere artista all’interno di una determinata corrente o definizione, egli è piuttosto un continuo e instancabile sperimentatore, che negli anni, attraverso diversi medium, indaga sulle possibilità molteplici e infinite della forma, con una cura attenta verso l’apparenza del sensibile, che altro non è che l’Estetica. Passa attraverso la fotografia, il disegno, i tableaux vivants e perfino la sua stessa pelle, per approdare alla ceramica. Come lui stesso afferma in un intervista di Hans Ulrich Obrist “in questo ventaglio espressivo e linguistico, c’è un tentativo costante, ma spero non convenzionale, di accettazione, considerazione della storia; è quindi questa voglia di esprimere, attraverso non materiali o tecniche, un saper fare, ma anche un saper condurre, soprattutto quando l’idea o la fantasia suggerisce la dimensione del fare e del coinvolgere anche chi possiede quella capacità, soprattutto nel rapporto con l’artigianato.”
Da questo suo intento nasce il rapporto con la storica Bottega Gatti di Faenza durante gli anni ’90, dando vita ad un corpus di lavori in ceramica che rimangono costantemente fedeli ad un’iconografia e principio formale. I soggetti scelti coincidono con le forme più essenziali e fondamentali di tutta la poetica ontaniana: maschere, canopi ed erme, reminiscenze di archetipi primitivi, di antenati-totem eretti allo scopo di allontanare le insidie di nemici, lasciando spazio alla fantasia nell’immaginare vie di fuga attraverso semplici metamorfosi.
Fra queste, le erme, come quella presentata facente parte della serie delle ErmEstetiche, sono gli oggetti nei quali probabilmente le ibridazioni decorative di Ontani sono più evidenti, dove il linguaggio dell’arcano avverte l’eco di radici cinquecentesche tra allegorie e simbolismo alchemico. Nella struttura greca dell’erma, perfezionata poi in epoca romana, Winckelmann vedeva la madre di ogni scultura, essendo la prima forma statuaria ad avvicinarsi effettivamente alla sagoma umana e capace di evocare, negli occhi di chi la guarda, in qualsiasi epoca, da quell’arcaica ai giorni nostri, i due poli antitetici: venerazione e decorazione. La sua conformazione geometrica, da cui sporgono testa e genitali, si presta in maniera naturale ad essere raffigurata come bifronte, riprendendo il classico modello di Giano, la divinità a due teste destinata a sovraintendere a ogni cosa e a conciliare gli opposti, e che incarna perfettamente l’idea di ibrido cara al maestro Ontani. Le ErmEstetiche, come dichiara l’artista stesso contengono “l’etica e l’estetica” e riescono nel tentativo di rendere quel senso di fermezza e atemporalità della figura rappresentata. Ciò accade grazie alla natura del materiale prescelto, la ceramica, che attraverso la cottura magistrale del colore e l’effetto che ne consegue, raggela le espressioni delle figure rappresentate, cristallizzando i loro lineamenti in verità atemporali, come se fossero effigi di un tempo che rimanda ad un altro tempo infinito, che è poi la ciclicità della storia.
Nei suoi lavori Ontani compie sempre un viaggio di identità, che non è soltanto quella del personaggio raffigurato, in questo caso Nerone, ma è anche la propria; difatti le ceramiche vengono realizzate sulla base di calchi del suo stesso volto, mani o piedi, così che in esse possa esserci una specularità, come era stato precedentemente nell’autoritratto fotografico. In ErmEsteticaNeronEros Ontani compie un’ibridazione dell’imperatore Nerone, che ha regnato su Roma dal 54 al 68 d.C. e morto suicida all’età di 31 anni dopo che era stato incolpato del terribile incendio che distrusse la capitale durante il suo regno. Personaggio controverso e spesso denigrato dalla storiografia contemporanea, ma che allo stesso tempo costituisce una figura carismatica ed estremamente sensibile alle arti e allo sport. Fu proprio Nerone a fornire l’esempio di imperatore filosofo, a cui si rifecero gli Antonini, grazie al culto del proprio corpo e l’estetismo, in ogni lato della sua personalità, dal collezionismo di opere d’arte alla passione per l’architettura, dalla passione per la musica e la lira, alla sensibilità della religione astronomico-filosofica pagana espressa nel progetto finale della Domus Aurea.
Ontani riesce magistralmente ad unificare ogni vicenda caratterizzante la vita di Nerone; l’Erma che lo raffigura non è altro che un racconto della sua storia per simboli e segni che fanno parte del vocabolario immaginifico dell’artista. La testa e il fallo, elementi cruciali nella geometria dell’erma, si fanno fiamme, alludendo all’incendio di Roma. Le braccia sono quelle della lira, che usava suonare lo stesso Nerone, e che troviamo ancora raffigurata sulla toga e sul neo in prossimità del naso. Il piede nero, come se fosse già carbonizzato dalle fiamme, e al retro, in un rimando continuo alla dualità dell’essere tra umano e animale, la zampa di pappagallo che afferra un peperone e che potrebbe alludere alla figura induista di Garuda, re degli uccelli, simbolo della connessione tra l’uomo e il divino. In riferimento al mondo orientale e seguendo la matrice di una connessione al cosmo interiore, sulla sommità del fallo troviamo l’occhio pineale segno caratterizzante nel lavoro dell’artista nonché rappresentazione del terzo occhio, sede della spiritualità e dell’equilibrio. Infine, non lasciando niente al caso, il maestro Ontani ci delizia con un'ultima chicca sinfonica: le note scritte sulla toga dell'imperatore costituiscono lo spartito musicale della Sonata Op.5 n. 12 del famoso compositore barocco Arcangelo Corelli, il cui titolo La Follia è un chiaro rimando alla follia dello stesso Nerone.
L’arte di Ontani è come un teatro, un teatro sacro, ritualistico, il cui lessico trova un’analogia nei mitemi teorizzati dall’antropologo francese Claude Lévi-Strauss, ovvero quelle unità primarie caratterizzanti della struttura mitica e che sono riconoscibili in ogni storia (il calco del suo volto, l’occhio pineale, il fallo, le erme). Ontani vede nel mito un sistema di comunicazione che come una partitura musicale va colto nella sua completezza e l’erma per eccellenza riesce a renderne la totalità. Soltanto così, attraverso il contenuto manifesto, si può percepire il contenuto latente e dunque il significato profondo, il cuore della struttura, il teatro della vita.