Firenze, 
mar 23 Maggio 2023
Asta Live 1209
42

Salvator Rosa
(Napoli, 1615 - Roma, 1673)

Salvator Rosa

€ 12.000 / 18.000
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Salvator Rosa

(Napoli, 1615 – Roma, 1673)

SOLDATI IN UN ANTRO ROCCIOSO

olio su tela, cm 94x78

siglato SR in rilievo, sulla zona in luce in basso a destra

 

SOLDIERS IN A GROTTO

oil on canvas, cm 94x78

signed SR

 

Esposizioni

Salvator Rosa tra mito e magia. Napoli, Museo di Capodimonte, aprile – giugno 2008, n. 69

Caravaggios Erben. Barock in Neapel. Wiesbaden 2016, n. 117

 

Bibliografia

B. Daprà, in Salvator Rosa tra mito e magia. Catalogo della mostra, Napoli 2008, pp. 214-15, n. 6.

C. Volpi, Salvator Rosa pittore famoso, Roma 2014, p. 599, n. 15

B. Daprà, in Caravaggios Erben. Barock in Neapel. Catalogo della mostra, Monaco 2016, pp. 400-401, n. 117

 

Da sempre il paesaggio roccioso ha costituito un tratto distintivo della pittura di Salvator Rosa: un motivo che l’artista napoletano seppe declinare nei modi più diversi fino a renderlo, come nel nostro dipinto, protagonista quasi esclusivo della composizione.

Una scelta che ha dato origine a veri e propri capolavori, a partire dall’arco roccioso accarezzato dalla luce che fa da sfondo ai Pescatori di corallo di raccolta privata, appena antecedente il periodo fiorentino nel quinto decennio del secolo quando pareti di roccia, spesso antropomorfe, ospitano di volta in volta eremiti, soldati o marinai.

Non è certo un caso che nel 1653 Salvator Rosa scegliesse un paesaggio di roccia per sfidare il mondo accademico esponendo a Roma un dipinto intitolato Il Sasso: un’occasione per dimostrare la propria superiorità tecnica, oltre che il disprezzo per la gerarchia stabilita tra generi pittorici a partire dal soggetto.

È dei tardi anni Sessanta lo straordinario Empedocle si getta nel cratere dell’Etna, serie di variazioni sul bruno della roccia, a tratti accesa dall’incandescenza della lava.

Lo precede il nostro dipinto, più netto nei contrasti luministici e attraversato da decisi tagli di luce: per motivi stilistici è stato riferito dalla Daprà, che è più volte intervenuta in proposito, alla prima metà degli anni Sessanta.

Caterina Volpi ritiene l'opera di un seguace.