ARCADE I DIPINTI DAL SECOLO XVI AL XVIII

Firenze, 
gio 3 Ottobre 2024
Asta Live 1324
72

Giuseppe Diamantini

€ 10.000 / 15.000
Stima

Giuseppe Diamantini

(Fossombrone 1623 – 1705)

ZEUS E VENERE CON CUPIDO E HERMES

olio su tela, cm 145,5x111,5

 

ZEUS AND VENUS WITH CUPID AND HERMES

oil on canvas, cm 145,5x111,5

 

Il dipinto è corredato da parere scritto da Massimo Pulini datato 17 luglio 2024

Sulle nubi dell’Olimpo si svolge una scena che interpreta il momento delle Metamorfosi di Apuleio (libri IV – VI) in cui Amore, recatosi presso Giove, gli chiede di favorire il matrimonio con Psiche. Il padre acconsente e baciandolo, gli bisbiglia la richiesta di aiutarlo nei suoi propositi amorosi, in cambio dell’elevazione a dea di Psiche. Nell’episodio dipinto è presente Giunone, la regina degli dei, che sembra in ascolto, ma il finto bacio permette a Giove di sussurrare all’orecchio di Cupido senza farsi sentire da altri.
Sarà Mercurio, presente anche lui nella composizione, a rapire Psiche per portarla al convegno generale degli dei. Lo stesso tema è trattato da Raffaello e dalla sua scuola negli affreschi di villa Farnesina ma anche da varie incisioni a stampa che raccontano, talvolta in forma più articolata, il momento del mito. In particolare metto a confronto il bulino del cosiddetto Maestro della B nel Dado, che riporta anche il passaggio poetico del racconto: Et volato in cielo, al gran Tonante / Prepon sua causa, et prègal caramente / Che gli dia psiche in moglie, ch’e’ sua amante / Giove lo stringe et bacia e largamente / Promette, intanto tien l’angel volante / Il fulmine col rostro suo possente / Mercurio vola dal celeste coro e chiama tutti i dei a concistoro.
Questo il tema iconografico che, nella tela in oggetto, trova una interpretazione arguta e dinamica, caratterizzata da una esecuzione rapida e corposa, stesa su di una preparazione ‘sanguigna’ che traspare come intonazione dominante.
Lo stile è riconducibile a quello espresso, nella Venezia di metà Seicento, da due litigiosi caposcuola: Guido Cagnacci e Pietro Liberi. Lo spirito concorrenziale tra i due derivava dalla coltivazione della medesima clientela, interessata a temi nei quali la licenziosità erotica si univa a racconti del mito.
Il marchigiano Giuseppe Diamantini, che dapprima era stato allievo del romagnolo Cagnacci, passò alla bottega di Pietro Liberi all’indomani della partenza di Guido per Vienna, chiamato alla corte da Leopoldo I (1660 c.). Proprio il Diamantini, per via di questa sua duplice formazione, incarna una singolare fusione tra la poetica del Cagnacci e quella di Liberi, offrendo una sintesi che, in questo caso, trova particolare efficacia espressiva. Viene da entrambi i maestri la struttura a bozzolo delle figure, l’esposizione delle fronti e delle guance a una luce atmosferica e morbida, mentre al solo Liberi si deve la pratica di una stesura corsiva e vaporosa, che Giuseppe fece propria. Questa elegante prova appartiene di certo al periodo veneto successivo al 1660 e prima del rientro in patria, verso la nativa Fossombrone, raggiunta nel 1698 quando l’artista era prossimo alla cecità. Si possono raccogliere molti confronti in relazione alle fisionomie e allo stile dell’artista marchigiano e ne segnalo alcuni per antologia d’esempio. Una Venere transitata a Londra, presso le aste Bonhams come opera di Lorenzo Pisanelli costituisce una delle aggiunte più limpide che si possono fare al catalogo di Giuseppe Diamantini. Un’altra, raffigurante l’Angelo che salva Agar nel deserto, la resi nota entro il mio saggio Nelle tenebre di Cagnacci, con Giuseppe Diamantini da Fossombrone apparso in “Parola e Tempo. Percorsi di vita ecclesiale tra memoria e profezia”, 2008, n. 7, anno VII, pp. 65-71. Mentre di un’altra ancora, una Educazione di Amore, ne scrissi quando qualche tempo fa si trovava presso lo Studio Fabrizio Pazzaglia di Urbino. Sono tutte opere imparentate tra loro entro uno stile che la mostra Giuseppe Diamantini, pittore e incisore. Dalle Marche a Venezia di Fossombrone ha ben rappresentato (a cura di Anna Maria Ambrosini Massari, Marina Cellini e Marco Luzi, Fossombrone 2008). Rispetto a quelle il Giove che bacia e istruisce Cupido, alla presenza di Mercurio e Giunone dimostra un piglio più dinamico e fresco, eseguito di getto e quasi con un intento di incompiuto, di abbozzo. Frangiato com’è sul fondo dell’imprimitura si pone come uno dei risultati più sinceri e riusciti di tutta la produzione dell’artista. Per queste ragioni ritengo che la sua esecuzione possa essere circoscritta agli anni Sessanta del Seicento, periodo nel quale era ancora vivida l’eco delle due formazioni veneziane.