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Firenze, 
mer 2 Ottobre 2024
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COPPIA DI GRANDI ORCI STEMMATI, IMPRUNETA, FRANCESCO VANNI, 1661

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COPPIA DI GRANDI ORCI STEMMATI, IMPRUNETA, FRANCESCO VANNI, 1661

in terracotta invetriata in verde ramina. Iscritti sul fronte FECE FRANCESCO VANNI e datati MDCLXI, alt. cm 78

 

A PAIR OF LARGE COAT-OF-ARMS SPOUTED JARS (ORCI), IMPRUNETA, FRANCESCO VANNI, 1661

 

Bibliografia di confronto

AA.VV., La civiltà del cotto. Arte della terracotta nell’area fiorentina dal XV al XX secolo, cat. della mostra dell’Impruneta 1980, Firenze 2009, pp. 218-219;

M.G. Ciardi Duprè Dal Poggetto, in Il potere e lo spazio. La scena del principe, cat. della mostra Forte di Belvedere, Firenze 1980, pp. 213-214 n. 6.3;

G.C. Bojani, C. Ravanelli Guidotti, A. Fanfani, La donazione Galeazzo Cora. Ceramiche dal Medioevo al XIX secolo, Milano 1986, p. 273 n. 698

 

La coppia di grandi orci mostra un corpo pressoché ovoidale, con strozzatura superiore all'innesto del collo e ampio bordo slabbrato, l'innesto di anse nella parte superiore rigonfia e la fascia decorativa con graffiti a elementi fitomorfi che sottolinea il punto di maggiore circonferenza, tutte caratteristiche queste che accomunano la produzione fiorentina di orci del Sei e del Settecento.

La tradizione del “cotto” caratterizza da secoli il territorio fiorentino, articolandosi e differenziandosi in numerose zone, ma concentrandosi con risultati di particolare interesse nel comprensorio dell'Impruneta. Sia che nella zona si trovasse in quantità quella “terra grassa, dilicata e gentile che si adopera a far figure e vasellami” (come scriveva Benvenuto Cellini nel suo trattato sulla scultura del 1568), sia che vi si installassero con sollecitudine famiglie di sapienti artigiani, è certo che le manifatture dell'area imprunetina portarono, fin dal primo Rinascimento, la lavorazione della terracotta a una tale qualità, sul piano funzionale e su quello estetico, da rendere sempre più intenso il rapporto commerciale con la vicina Firenze.

Già da prima del Trecento nella stessa Firenze si hanno notizie di vasai, stovigliai, orciolai, fornaciai ed altri lavoratori di terracotta, ma solo a partire dal secolo XIV essi risultano iscritti nelle Arti, in parte a quella dei Medici e Speziali, ma più frequentemente a quella degli Oliandoli e Pizzicagnoli e a quella dei Vinattieri. Infatti, negli statuti delle rispettive Arti troviamo spesso incoraggiamenti per il commercio di orcioli, considerati unico mezzo per la vendita del vino e dell'olio, orcioli che venivano controllati periodicamente e dovevano portare il sigillo del comune che ne attestasse l'esatta capacità. Anche all'Impruneta abbiamo la testimonianza di una corporazione di orciolai e mezzinai che attesta la diffusione di questo mestiere.

Per quanto riguarda il vasellame domestico, lo studio sui primi oggetti d’uso è molto difficoltoso per la scarsità di materiali sopravvissuti, ma un interessante ritrovamento avvenuto a Firenze durante il restauro di palazzo Coverelli ha contribuito a fornire una campionatura delle forme databili fra la metà dal Trecento e gli inizi del Cinquecento, periodo in cui la forma più diffusa è sicuramente quella del “coppo a beccaccia”, cioè un orcio il cui orlo è costituito da un versatoio di forma allungata e simile ad un becco, tipologia documentata anche da Taddeo Gaddi nella scena di Gesù a cena da Fariseo dipinta intorno al 1355 per il Cenacolo di Santa Croce. Accanto a questa tipologia probabilmente già dal Cinquecento comparvero altre forme con collo e bordo ad anello e due manici inseriti nella parte superiore del corpo, proprio come quelli qui presentati, forse identificabili con una serie di “quattro orci smaltati in verde e con manici scolpiti e forma di erme”, apparsi sul mercato in occasione di un’asta fiorentina di Sotheby’s (10 ottobre 1979, lotto 134), uno dei quali poi esposto alla mostra Il Potere e lo Spazio organizzata al Forte di Belvedere a Firenze nel 1980. Essi presentano sul fronte uno stemma con una scala, probabilmente riferibile all’Ospedale di San Martino alla Scala di Firenze, e l’iscrizione graffita a crudo Fece Francesco Vanni, oltre alla data incisa sul collo in numero romani MDCLXI, lo stesso Francesco Vanni di cui, in occasione della mostra La civiltà del cotto del 1980, sono stati reperiti alcuni documenti che comprovano la sua attività di fornaciaio all'Impruneta durante il Seicento.