PIATTO, URBINO, 1530 CIRCA
in maiolica dipinta nei toni del blu, giallo, giallo-arancio, verde e bruno di manganese. Sul retro etichetta di provenienza FLORENCE TACCANI ANTICHITÀ – MILANO; diam. cm 24, diam. piede cm 12,4, alt. cm 2
A DISH, URBINO, CIRCA 1530
Provenienza
Collections de Lord Hastings et Henry Harris, Londra;
Sotheby’s, Londra, 20 giugno 1950, lotto 100;
Collezione Adda, Parigi;
Palais Galliera, Parigi, 2 dicembre 1965, lotto 640;
Florence Taccani, Milano;
Collezione privata
Bibliografia
B. Rackham, Islamic Pottery and Italian Maiolica. Illustrated Catalogue of a Private Collection. Londra 1959, p. 136 n. 456, pl. 211A
Bibliografia di confronto
G. Gardelli, Italika. Maiolica italiana del Rinascimento. Saggi e Studi, Faenza 1999, p. 218 n. 101;
T. Wilson, E.P. Sani, Le maioliche rinascimentali nelle collezioni della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia. 2. Perugia 2007, pp. 122-123 n. 39;
T. Wilson, The Golden Age of Italian Maiolica Painting. Catalogue of a private collection, Torino 2018, pp 396-397 n. 175
Il piatto ha basso cavetto poco profondo e piede appena accennato, la tesa è larga e orizzontale, l’orlo arrotondato e listato di giallo. Al centro della composizione la figura di San Paolo di Tarso che avanza tenendo nella mano sinistra la grande spada e nella destra stretta al petto il vangelo. Il santo, avvolto in una lunga tunica parzialmente coperta dal mantello, è inserito in un paesaggio aperto, incorniciato da due coppie di alberi dal fusto ondulato e scuro che fanno da quinta, che mostra sullo sfondo monti dal profilo appiattito su cui svettano torri azzurrate in un ampio cielo al tramonto; alcune piccole nuvole a chiocciola movimentano l’orizzonte, mentre sottili steccati, delineati in rosso, demarcano la porzione prativa del paesaggio. Il verso è privo di decorazione.
Come d’uso la raffigurazione dei personaggi trae spunto da stampe disponibili nelle botteghe, e qui nello specifico il personaggio sembra essere ispirato alle incisioni di Marcantonio Raimondi che raffigurano singolarmente il Redentore e i dodici apostoli, pur non trovando tuttavia una corrispondenza precisa. Sembrerebbe quasi essere frutto dell’unione di più soggetti, e nello specifico il corpo ci pare derivare da quello di San Simone (Bartsch III, 73), leggermente modificato nella posa delle braccia, mentre la testa e le mani ricordano i personaggi anziani spesso utilizzati nelle botteghe del ducato, come nel caso del vecchio raffigurato al centro di una celebre alzata con la Madonna della Scala di Mastro Giacomo Andreoli, ora in collezione privata.
Un piatto con la raffigurazione di San Bartolomeo ripropone, in chiave però più corriva, la facies del nostro personaggio, e le caratteristiche del paesaggio che richiamano altre opere variamente attribuite alla cerchia di Nicola da Urbino, non ultimo il piatto con due personaggi proposto in asta in questa stessa sede (Pandolfini, 26 ottobre 2022, lotto 20), già attribuito a Guido Durantino e da noi discusso per similitudini con l’ambiente dei grandi pittori urbinati. La modalità esecutiva è effettivamente accostabile per la resa del paesaggio – le nuvole a chiocciola, il cielo all’alba, gli alberi spogli -, ma anche per la tecnica pittorica e l’uso del colore, ad alcune opere con soggetto singolo o con scene istoriate, che sono state variamente attribuite ai maggiori pittori che operarono nel ducato di Urbino e a Gubbio attorno agli anni 1525-1535.
Il piatto in esame è stato pubblicato da Bernard Rackham nel catalogo della collezione Adda, con un’attribuzione a Mastro Domenico, attribuzione che lo studioso non aveva riservato a un tondino con scena del Suicidio di Cleopatra, oggi nelle collezioni della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, che condivide con il nostro un’ambientazione affine e che sembra aver condiviso almeno in parte anche la stessa storia collezionistica. Timothy Wilson, che ha pubblicato il piatto con Cleopatra, ritiene l’opera di probabile produzione urbinate degli anni 1530-1540 circa.
Riteniamo che l’opera qui presentata sia di grande interesse e meriti di essere pienamente inserita negli studi sugli anni della formazione delle grandi personalità artistiche della maiolica eugubina e urbinate. Senza voler trovare affinità marcate con l’opera di Nicola di Urbino, pensiamo non si possa escludere l’influenza del maestro su queste opere, e d’altra parte l’ormai accettata vicinanza tra i maestri pittori nelle botteghe del Granducato non esclude neppure la via verso il riconoscimento di una personalità artistica vicina a Nicola da Urbino e a Xanto Avelli intorno agli anni trenta del secolo XVI, e avanziamo l’ipotesi di una paternità riferita ad un maestro che dipinge per Mastro Giorgio Andreoli.