Giovanni o Nicolò Stanchi
(Roma 1608 - dopo il 1673; 1623 – 1690 circa)
FIORI IN UN VASO IN METALLO, CON MAZZO DI ANEMONI SU UN PIATTO
VASO DI ANEMONI, GIGLI E TULIPANI, CON ROSE SU PIANO DI PIETRA
coppia di dipinti ad olio su tela ottagonale, cm 53,5x89,5 ciascuno
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Provenienza: asta Londra, Phillip’s, 5 luglio 1994, n. 50 a-b
Bibliografia: G. Sestieri (a cura di), Dipinti italiani ed europei del XVII e XVIII secolo. Galleria Cesare Lampronti, Roma 1996, pp. 40-41, nn. 23-24; L. Ravelli, Stanchi dei fiori, Bergamo 2005, p. 87, nn. 79-80; S. Proni, La famiglia Stanchi, in G. Bocchi - U. Bocchi, Pittori di natura morta a Roma. Artisti italiani 1630-1750, Viadana 2005, p. 257, figg. FS 16-17
Passati in asta a Londra come opera di Giacomo Recco e ricondotti più correttamente all’ambiente romano, sebbene sotto il nome di Abraham Brueghel, in occasione della mostra tenuta a Roma da Cesare Lampronti, i dipinti qui esaminati sono stati restituiti da Lanfranco Ravelli alla produzione dell’atelier della famiglia Stanchi, come successivamente confermato da Silvia Proni.
Il lungo saggio della Proni, corredato da un regesto di documenti e da citazioni inventariali, ricostruisce in maniera capillare e del tutto convincente la produzione di una delle principali botteghe romane del Seicento, specializzata in dipinti di fiori e frutta (occasionalmente, anche di animali e selvaggina) ricercati dalle più importanti famiglie dell’aristocrazia, dai Colonna, ai Chigi, ai Rospigliosi, e presenti fin dalla fine del secolo nelle raccolte medicee.
Punto di partenza per la ricostruzione del corpus riferito agli Stanchi, le magnifiche specchiere eseguite da Giovanni nel 1670 per la galleria di palazzo Colonna in collaborazione con Carlo Maratta (Ghirlanda di fiori con quattro putti; e Vaso di fiori con cinque putti), in competizione con Mario dei Fiori, autore delle altre a due; per quanto riguarda Nicolò, il fratello minore titolare della bottega dopo la morte di Giovanni, gli specchi in palazzo Borghese, eseguiti nel 1675 in collaborazione con Ciro Ferri. A questi si aggiungono la coppia di festoni di fiori nella Pinacoteca Capitolina, dalla collezione Sacchetti, pagati a Pietro da Cortona, e per lui a “Stanchi”, nel 1651 (replicate in due tele a palazzo Pitti), e una serie di sei piccole tele documentate di Nicolò per il cardinale Flavio Chigi, oggi presso la famiglia Incisa, oltre ad alcune nature morte documentate fin dall’inizio del Settecento nella collezione Pallavicini, ove ancora si trovano.
Estremamente varia per tipologia ma stilisticamente coerente, la produzione degli Stanchi è stata poi suddivisa dalla Proni a seconda dei soggetti proposti: innanzi tutto le ghirlande, legate al modello fiammingo reso celebre a Roma da Daniel Seghers (di cui si conservava un esemplare nella collezione Ludovisi, censito nell’inventario del 1618) e probabilmente in gran parte riferibili al solo Giovanni; i sontuosi bouquets entro vasi in metallo istoriato, sull’esempio di quelli, celebri, di Mario dei Fiori; composizioni di fiori e frutta su sfondo di paesaggio, talvolta con la presenza di figure femminili come nelle scene di vita all’aperto di Michelangelo Cerquozzi, a cui in passato sono state attribuite; ricostruzioni ideali di giardini che riproponevano, in tele di grande formato documentate anche negli inventari delle raccolte del cardinal Flavio Chigi e del cardinal Benedetto Panfili, la ricchezza e la varietà dei giardini delle ville romane di quegli stessi committenti, così come possiamo oggi ricostruirne l’aspetto a partire dai documenti e dalle rare illustrazioni.
Tipiche della “bottega Stanchi” nella precisione smaltata dei singoli fiori e nella costante presenza delle rose “antiche”, quasi una sigla dell’atelier, le tele in esame appaiono particolarmente vicine a quanto, con relativa certezza, possiamo oggi riferire a Giovanni, il maggiore dei fratelli, la cui attività appare documentata fin dal 1634. Anche la presentazione dei vasi e dei fiori recisi su un piano di pietra illuminato dall’alto contro un fondo scuro, memore certamente del primo tempo della natura morta romana caravaggesca, suggerisce in effetti una datazione abbastanza precoce per la coppia di tele qui esaminate.
Da notare, infine, la sequenza di rombi che decora il corpo del vaso in metallo nel secondo dipinto, motivo che ritroviamo in altre forme (ricami dorati sui nastri in seta azzurra che raccolgono fiori recisi o si intrecciano a ghirlande: cfr. S. Proni, 2005, figg. 7, 13, 14, 19) ed è forse collegato allo stemma della famiglia Rospigliosi, che compare esplicitamente a decorare un piedistallo (o “sgabellone”) in una composizione di pesci venduta alla Finarte (S. Proni, fig. 15). La committenza del cardinale Giulio Rospigliosi, futuro papa col nome di Clemente IX fra il 1667 e il 1669, è peraltro documentata già nel 1644, quando specchi dipinti con fiori di Giovanni Stanchi sono da lui donati al re di Spagna, Filippo IV.
Come la maggior parte delle opere uscite dalla “bottega Stanchi” anche le nostre composizioni di fiori si distinguono per i colori smaglianti e la perfetta conservazione, dovuta senza dubbio ai materiali di pregio utilizzati in ogni circostanza e non solo per le commissioni più prestigiose: un dato che rende indubbiamente ragione del successo goduto dall’atelier nel corso di ben cinque decenni.