MASTERPIECES FROM ITALIAN COLLECTIONS

tue 28 October 2014
Live auction 24
15

Pellegrino di Mariano

€ 60.000 / 80.000
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Pellegrino di Mariano

(Siena, documentato dal 1449–1492)

MADONNA COL BAMBINO E I SANTI CATERINA DA SIENA, BERNARDINO DA SIENA, GIROLAMO, DOROTEA E DUE ANGELI

post 1461

tempera e oro su tavola centinata con cornice originale, cm 61x41,8 (cornice inclusa), cm 52,5x32,9 (superficie dipinta)

 

Corredato da attestato di libera circolazione

 

after 1461

tempera and gold on panel, shaped above, in an original engaged frame, 61x41,8 cm (including frame), 52,5x32,9 cm (painted surface)

 

An export licence is available for this lot

 

€ 60.000/80.000 - $ 78.000/104000 - £ 48.000/64.000

 

Provenienza:

mercato antiquario, Roma;

collezione privata

 

Questo dipinto è un tipico esempio di immagine devozionale dovuta a Pellegrino di Mariano, maestro senese noto soprattutto per la sua attività di miniatore, che durante la sua lunga carriera, fu attivo per committenti prestigiosi: da papa Pio II Piccolomini a istituzioni di rilievo come l’Opera del Duomo e lo Spedale di Santa Maria della Scala di Siena.

 

A giudicare dal cospicuo numero di opere giunte fino a noi, dove l’immagine della Vergine col Bambino è spesso accompagnata da santi e angeli, possiamo supporre che i dipinti su tavola di Pellegrino siano stati particolarmente apprezzati nella Siena del Quattrocento. Formatosi probabilmente con Giovanni di Paolo (1398-1482), il pittore entrò quindi nella cerchia di Sano di Pietro (1405-1481), il maestro più popolare in città intorno alla metà del secolo. Seguendo le pratiche di bottega ed emulando le fortunatissime composizioni di quest’ultimo, Pellegrino seppe quindi distinguersi come un vero e proprio specialista nel genere della pittura devozionale. Sano di Pietro aveva codificato nella pittura senese una nuova tipologia di immagine devozionale mariana, in cui la Madonna e il Bambino sono raffigurati a mezzo busto o a tre quarti, affiancati da figure di santi e angeli disposti simmetricamente, che si stagliano contro un fondo oro splendente e punzonato. Di solito l’iconografia di questi dipinti era personalizzata, attraverso figure di santi scelte dai committenti. Custodite in dimore private o nelle celle dei membri di ordini religiosi, simili tavole servivano alla devozione privata di chi le possedeva.

 

Pellegrino di Mariano aderì alla formula compositiva inventata da Sano di Pietro, ma cercò pure di distinguere i suoi dipinti con uno stile personale. Spesso prese a modello immagini tradizionali (in particolare opere di Simone Martini, Lippo Memmi, Andrea di Bartolo e Jacopo della Quercia), ma per andare incontro alle richieste del mercato seppe dare vita a proprie soluzioni, variate in numerosi esemplari, riadoperando gli stessi cartoni. Le sue immagini sono permeate da un senso di pietà semplice e schietto, e caratterizzate da un linguaggio diretto e da un vivo cromatismo.

 

La Vergine è raffigurata a mezzo busto e in primo piano rispetto alle figure circostanti, con il consueto manto blu scuro che lascia intravedere il velo e con la veste di colore rosso. Si volge verso la sinistra tenendo Gesù Bambino col braccio destro, con uno sguardo malinconico come se contemplasse l’inevitabile e tragico destino del Figlio divino. La sua aureola porta incisa la scritta “AVE MARIA GRATIA PLEN[A]”, ora in parte abrasa. Queste parole appaiono frequentemente nell’aureola di Maria nella pittura senese di questo periodo e si riferiscono al passo del Vangelo di San Luca sul quale si basa la tradizionale preghiera cattolica: il saluto con il quale l’Arcangelo Gabriele annunciò la nascita di Cristo alla Vergine (“Ti saluto, o favorita dalla grazia, [il Signore è con te]”, Luca 1,27). Un raro particolare iconografico si distingue nella Colomba dello Spirito Santo, che si libra sopra la figura della Vergine dopo la discesa dal Paradiso, simboleggiato dai soprastanti raggi dorati. La colomba si riferisce anche all’Annunciazione, e fornisce allo spettatore devoto la prova visibile che la Vergine ha concepito tramite lo Spirito Santo, ed è con quest’atto che la Parola si fa Carne (“Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà dell’ombra sua; perciò, anche colui che nascerà sarà chiamato Santo, Figlio di Dio”, Luca 1,34; “perché ciò che in lei è generato, viene dallo Spirito Santo”, Matteo 1,20). Vestito di una preziosa tunica, il Bambino si volge a destra e benedice con la mano destra, mentre appoggia il braccio sinistro intorno al collo della Madre.

 

La Madonna e il Bambino sono affiancati da sei figure di dimensioni notevolmente più piccole che formano intorno a loro una specie di corte celeste. Santa Caterina e San Bernardino, i due santi senesi più acclamati del terzo quarto del quindicesimo secolo, appaiono a destra della Vergine, al posto d’onore. Santa Caterina (Caterina di Jacopo di Benincasa, 1347 circa-1380), la celebre mistica, porta la tunica bianca e il manto nero dell’ordine domenicano, e il suo velo bianco indica che fu terziaria di quell’ordine. Tiene in mano i soliti attributi: il giglio, simbolo della sua purezza, e il libro chiuso, che si riferisce ai suoi scritti. Il frate dell’Osservanza francescana Bernardino degli Albizzeschi (1380-1444), nato nell’anno della morte di Santa Caterina, era il celebre predicatore e riformatore religioso della città di Siena. La sua fisionomia, con gote infossate, bocca priva di denti e piegata all’ingiù, e mento appuntito, era ben nota a ogni senese della metà del secolo XV, e quest’aspetto fu fedelmente riprodotto nei numerosissimi ritratti del santo. In questo dipinto porta il consueto abito grigio francescano, e tiene in mano il suo attributo: la tavoletta che reca iscritto il monogramma del santo nome di Cristo (YHS), che usava esibire in vista davanti agli ascoltatori durante le sue prediche. In seguito alle loro canonizzazioni, rispettivamente nel 1450 e nel 1461, San Bernardino e Santa Caterina diventarono i patroni ufficiali della città di Siena, aggiungendosi ai quattro martiri paleocristiani Ansano, Crescenzio, Savino e Vittore. Il loro culto divenne fervidissimo e furono rappresentati in ogni campo dell’arte religiosa toscana e non solo. La grande venerazione ottenuta dai Santi Bernardino e Caterina è ben dimostrata dal fatto che in questi anni a un grande numero di neonati senesi furono dati i loro nomi. La figlia di Pellegrino di Mariano, nata nel 1461, ebbe addirittura il nome Caterina Bernardina (Archivio di Stato di Siena, Biccherna 1133, c. 240v).

 

Dall’altro lato della Vergine, vediamo in primo piano una giovane santa che reca un ramo fiorito e tiene per mano un piccolo bambino rappresentato con l’aureola. È Santa Dorotea, la vergine nobile paleocristiana che fu martirizzata un giorno d’inverno al tempo dell’Imperatore Diocleziano perché rifiutava di negare la sua fede cristiana. Come viene descritto nella duecentesca Legenda Aurea, dinanzi alla tortura dichiarò di essere pronta a soffrire per l’amore del suo sposo Gesù Cristo, nel cui giardino fiorivano per tutto l’anno rose e mele. Lo scrivano Teofilo reagì con disdegno alla sua visione, chiedendole di mandare fiori e mele dal giardino del suo sposo divino dopo la sua morte. Appena prima dell’esecuzione di Dorotea, un fanciullo divino con un cestino di rose e mele in mano (spesso identificato con Gesù Bambino) apparve alla martire, che chiese al bambino di offrirle a Teofilo, e l’uomo si convertì alla fede cristiana davanti a questo miracolo. Le rappresentazioni di Santa Dorotea sono rarissime nell’arte senese del Quattrocento, e la sua presenza in questo dipinto avrà avuto un significato speciale per il committente. Santa Dorotea era patrona di varie condizioni e occupazioni (per esempio di partorienti, sposi novelli, giardinieri), e la sua presenza potrebbe spiegarsi in connessione con uno di questi ruoli. Più probabilmente è qui raffigurata come santa patrona personale del proprietario dell’opera che quindi, considerando che Cristo rivolge la sua benedizione verso Santa Dorotea, dovrebbe essere stata una donna. È possibile che nel rappresentare la santa, Pellegrino di Mariano si sia ispirato alla tavoletta con Santa Dorotea ora nella National Gallery di Londra, attribuita a Francesco di Giorgio (1460 circa; cfr. L. Syson, in Renaissance Siena: Art for a City, catalogo della mostra, Londra 2007, pp. 108-109, cat. 10). Il santo più anziano e barbuto alle sue spalle è il Padre della Chiesa latina, San Girolamo. Porta il vestito rosso di un cardinale e tiene in mano i soliti attributi del libro e della penna. Il libro simboleggia la Vulgata, la traduzione in latino della Bibbia fatta da Girolamo, che diventò il testo standard delle Sacre Scritture nel Medioevo. San Girolamo era patrono di suore, studiosi, notai, membri di certi ordini religiosi come i Gesuati, e ovviamente di uomini battezzati con questo nome.

 

Nella parte superiore del dipinto due angeli adoranti affiancano la colomba. Le loro piccole ali si stendono da un lato e dall’altro, coprendo il margine punzonato e creando così un effetto convincente di spazialità. La testa dell’angelo a sinistra è ornata da un diadema rosso – si tratta di una fiamma dello Spirito Santo stilizzata – che potrebbe riferirsi al suo rango di arcangelo (Gabriele?). Seguendo lo schema spesso usato da Sano di Pietro, le sei figure laterali sono collocate in modo da sfidare la dimensione spaziale, secondo la forma inarcata della tavola.

 

Il supporto del dipinto è costituito da una tavola di pioppo a venatura verticale che conserva ancora il suo spessore originale di cm 2,9 (cm 4,5 con la cornice). La cornice intagliata originale è decorata con una fila di punzonature formata da stelle a sei punte, disposta in una delle modanature del legno.

 

La forma poligonale dell’apice della tavola è rara nel catalogo di Pellegrino, che di solito per le sue tavole usa un formato rettangolare o centinato a tutto tondo, ma trova corrispondenza tra le Madonne devozionali di Sano di Pietro e della sua bottega. In una vecchia fotografia del dipinto conservata nella fototeca della Fondazione Federico Zeri di Bologna (Fig. 1), sono visibili frammenti di foglie stilizzate – fogliami gotici – su parte dell’apice poligonale della tavola. Sempre dalla fotografia Zeri si evidenziano lungo la parte destra due chiodi, probabilmente antichi, sostenenti il coronamento che dalla fotografia non possiamo stabilire se originale o meno.

 

Il dipinto non è stato oggetto di discussione nella storiografia artistica. Sembra che sia stato attribuito per la prima volta a Pellegrino di Mariano da Federico Zeri, la cui opinione è annotata sulla fotografia appena citata. Inoltre il nome di Pellegrino è riportato tre volte sul tergo della tavola, in varie grafie moderne (due volte “Pellegrino di Mariano”, una volta “Mariano”). Dato che l’opera dimostra tutte le qualità essenziali dello stile di Pellegrino, non vi è nessuna ragione per dubitare dell’attribuzione di Zeri. Le figure a forma di “bambola” si ritrovano in tante miniature dell’artista e denotano il fascino caratteristico di questo maestro. Le forme sono semplificate, e la tavolozza è chiara e variegata. Nei delicati volti femminili, il modellato appena accennato è ottenuto da lievi passaggi chiaroscurali: le sopracciglia sono create con tenui linee arcuate, e le labbra sono piene di colorito vivo, con l’angolo della bocca spesso curvato all’ingiù. Le mani allungate e volutamente non articolate, come del resto anche quelle delle figure laterali che appaiono minute rispetto ai corpi esili e slanciati, rappresentano anch’esse caratteri tipici del pittore. Come spesso accade con opere verosimilmente eseguite nella fase relativamente precoce della carriera di Pellegrino, le stoffe preziose del drappeggio, come per esempio la tunica del Bambino e le vesti degli angeli, sono lavorate a sgraffito, imitando opere precedenti della pittura senese, con piccole righe parallele incise sulla materia pittorica che è stesa al di sopra della foglia d’oro. Il manto della Vergine è decorato con un largo disegno geometrico sul margine, eseguito in doratura a missione.