PIATTO
Venezia, Mastro Domenico, “1569”
Maiolica decorata in policromia con blu, verde, viola di manganese, giallo, grigio di bistro e bianco
alt. cm 4,2; diam. cm 24,5; diam. piede cm 9,6
Sul retro, sotto il piede, iscrizione in blu “- 1569 -/ - SVSANA -”
Sul retro, sotto il piede, una piccola etichetta imbrunita “1870/ Februsa (?)/ PL (?)” manoscritto
Intatto; solo una piccola sbeccatura interessa l’anello d’appoggio
Corredato da attestato di libera circolazione
Earthenware, painted in blue, green, manganese purple, yellow, grey and white
H. 4.2 cm; diam. 24.5 cm; foot diam. 9.6 cm
On the back, beneath the base, inscription in blue ‘- 1569 -/ - SVSANA -’
On the back, beneath the base, small and old hand-written label ‘1870/Februsa (?)/ PL (?)’
In very good condition, with the exception of a minor chip to foot ring
An export licence is available for this lot
Il piatto fondo ha un’ampia tesa e base ad anello. Il fitto tessuto pittorico riveste completamente lo smalto stannifero sul fronte del pezzo.
Il verso reca un sottile strato di smalto, che assume un tono beigiato, con poche grosse pulci e, sul retro della balza, leggeri aloni verdastri. L’anello d’appoggio è sottile e cilindrico. Sei filetti gialli profilano e decorano la tesa. Il fondo del piede smaltato presenta la data e l’iscrizione in blu.
La decorazione istoriata vede la scena maggiore, dipinta nel cavetto, svolgersi all’aperto, in un giardino, sotto un’ampia tettoia verde posta in un campo pratoso con un villaggio sullo sfondo. Vi è raffigurata una giovane donna nuda, con un panneggio aranciato che le copre il pube, seduta al centro di un’ampia fontana semicircolare. Un uomo anziano sta dietro di lei, vicino, e le avvinghia il corpo, spingendole il mento per voltarle la testa verso un’altra figura maschile, che, in secondo piano, pare nascondersi dietro un esile tronco. L’orlo del cavetto è profilato con un sottile motivo a ovuli azzurri su fondo aranciato.
La tesa è completamente ricoperta da un fregio in cui quattro riserve ovali, incorniciate con volute, sono istoriate con scene marine classiche con coppie di Tritoni e Nereidi. La pittura sottolinea il movimento delle figure con onde marine, ciuffi di capelli in volo, spirali dei corpi animali, mitre e trombe. A separare le riserve sono dipinte figure in monocromia giallo-bruna: in alto, due volti virili barbati con un’espressione triste, e in basso piccole erme con putti senza braccia, mentre piccole girali fogliate dipinte e filetti graffiati animano il fondo blu.
La scena è dipinta in vivace policromia dominata dall’accostamento di forti colori, come i verdi luminosi del prato e delle fronde della tettoia in contrasto con le tonalità aranciate del giallo. Il blu di cobalto è cromaticamente dominante e fa da sfondo sia alle scene marine degli ovali, sia ai motivi decorativi minori. Sottili fili bianchi di smalto stannifero lumeggiano le figure della scena, mentre un fittissimo gioco puntinato a leggerissimo rilievo di stagno colorato di giallo muove le fronde del bersò, simulando l’effetto luministico della doratura.
La scena riprodotta deriva dall’illustrazione del XIII capitolo di Daniele ne Les Figures de la Bible, illustrées de huitcains figurato da Pierre Vase ed edito a Lione nel 1564. La ripresa dell’immagine è integralmente fedele, con una sola eccezione: il secondo uomo anziano non è addossato alla ragazza, come vediamo nell’incisione, ma allontanato e nascosto dietro un tronco. Questo indubbiamente sbilancia un poco l’equilibrio compositivo del dipinto.
È interessante sottolineare come passino soltanto cinque anni tra la pubblicazione del volume a stampa francese e la produzione del piatto veneziano. Del resto xilografie bibliche lionesi coeve sono state riconosciute in opere figurate di Mastro Domenico, che si dimostra anche in questo artista d’avanguardia.
Domenico de’ Betti è il più celebre ceramista veneziano. Nel 1547 Domenico sposa la figlia di Jacomo da Pesaro, maiolicaro attivo a Venezia, raffinato artista, autore di splendidi pezzi marcati. Domenico, depentor over bochaler (pittore o vasaio), riuscì a inventare delle formule decorative innovative legate alla nuova cultura artistica veneziana di Giorgione e Tiziano, con una nuova energia pittorica basata sulla potenza dei toni cromatici nella natura. Il suo successo fu tale da permettergli l’apertura di un’importante bottega vicino a Campo San Polo a Venezia attorno alla metà del ’500.
Pochi sono i pezzi di Mastro Domenico firmati e datati e di alta qualità formale considerati oggi opera diretta dell’artista (meno di una decina). Ma l’impostazione dell’ornato del nostro piatto, con il cavetto abitato da una scena istoriata e la tesa dominata da quattro scene minori in ovali con la cornice a cartelle, è totalmente coerente con i tre pezzi più noti firmati da Mastro Domenico e datati 1568: due sono conservati all’Herzog Anton Ulrich - Museum di Braunschweig e uno al Museo Internazionale delle Ceramica di Faenza.
Il nostro piatto, appartenuto fino al 1930 a un’altra raccolta nella città di Braunschweig, la Vieweg, entrò poi a far parte della collezione Bohnewand a Berlino, pubblicato da Otto von Falke nella rivista Pantheon nel 1942. Confrontandolo con i pezzi marcati della collezione Herzog Anton Ulrich, lo studioso tedesco lo assegna con sicurezza a Mastro Domenico. Lessmann e Wilson-Sani, conoscendo la pubblicazione di Falke, lo citano tra i pezzi-documento dell’artista, confermandone l’alto valore estetico.
Gli altri tre pezzi citati hanno diametro ben superiore al nostro (40 centimetri circa), che è invece più consueto nella produzione della bottega veneziana, ma non con questo raffinato e complesso tipo decorativo. I cerchi gialli, visibili sul retro, sono presenti su diversi piatti della nostra dimensione a lui assegnati.
Se la composizione della scena centrale, leggermente disequilibrata rispetto a quella visibile nelle altre opere citate, crea il solo piccolo dubbio sulla diretta mano del maestro, i caratteri tecnico-formali del decoro pittorico aiutano a sostenere fermamente l’opera come lavoro di Mastro Domenico. È riconoscibile il suo linguaggio, manifesto nella rapidità nella stesura sia disegnativa che pittorica. Il dominio del colore, protagonista dalla vivace tavolozza “tonale veneziana”, è accentuato dall’aggiunta alla materia pigmentosa, talvolta pastosa, di giochi tattili con puntinature a leggerissimo rilievo o sottili graffi della punta del manico del pennello nel fondo blu, creando effetti aerei vibranti. Un mestiere da maestro fedelmente riconoscibile sul piatto faentino.
Osservando la marca, la stesura calligrafica dei diversi numeri della data risulta assolutamente identica a quella presente sui pezzi sopracitati considerati di stesura diretta del capo-bottega (talvolta queste date sono sul fronte, scritte in un libro inserito nel decoro della tesa).
Non sono rare scritte sul retro dei suoi pezzi, ma l’ortografia in lettere maiuscole visibile nel “Susana” è molto insolita: un nome (“Thobie”) coerente nella formula scrittoria con il nostro è però presente su un piatto conservato a Braunschweig e considerato da Johanna Lessmann opera diretta di Mastro Domenico databile attorno al 1570.
Come abbiamo già scritto il pezzo appartenne alla collezione Vieweg di Braunschweig (fino al 1930), e quindi alla raccolta Bohnewand di Berlino (1942).
Raffaella Ausenda