TONDINO
Urbino, bottega di Guido di Merlino, “1543”
Maiolica decorata in policromia con blu, verde, arancio, giallo-arancio, bianco di stagno e bruno di manganese
alt. cm 5,2; diam. cm 23,9; diam. piede cm 8
Sul retro iscrizione “del porcho Cali/ donio 1543“ (la data in cartiglio)
Felatura in basso a sinistra con incollatura di una piccola porzione; sbeccature all’orlo; segni di usura al piede
Corredato da attestato di libera circolazione
Earthenware, painted in blue, green, orange, yellowy orange, tin white, and manganese
H. 5.2 cm; diam. 23.9 cm; foot diam. 8 cm
On the back, beneath the base, inscription in blue ‘del porcho Cali//donio 1543’ (the date in a cartouche)
Hairline crack at 7 o’clock with a small part reglued; chips to rim; wear to foot
An export licence is available for this lot
Il piatto, che presenta un profondo cavetto e una larga tesa appena inclinata, poggia su un piede basso privo di anello: questa forma è generalmente definita “tondino”.
La decorazione istoriata raffigura Meleagro, re dell’Etolia, mentre, insieme ai più celebri cacciatori, uccide il cinghiale Calidonio inviato da Artemide per distruggere i raccolti: la dea aveva inflitto questo castigo per essere stata dimenticata dal re nei sacrifici agli dèi dell’Olimpo.
La scena è racchiusa tra un albero e una rupe, che fanno da quinte a un paesaggio lacustre con alte colline rocciose e piccoli borghi. A sinistra la dea cacciatrice assiste all’uccisione del feroce animale, posto al centro della scena mentre azzanna un cacciatore a terra. Tutt’intorno i cacciatori, tra i quali Atalanta, l’amata di Meleagro, colpiscono con animosità il cinghiale. Al centro della tesa, in alto, uno stemma gentilizio non ancora identificato è come appeso a un ramo.
Il mito è tratto dalle Metamorfosi di Ovidio (Met. VIII, 260-545): il soggetto ebbe molto successo nel corso del ’500 e venne spesso utilizzato dai pittori urbinati per le loro decorazioni, ma la stampa utilizzata dall’autore come riferimento iconografico del decoro non è stata ancora identificata.
Il piatto trova un confronto diretto nel lotto 44 di questo catalogo, sia per lo stile pittorico sia per la presenza di uno stemma gentilizio simile, ma non uguale. Anche lo stemma, per il momento, non è ancora stato individuato.
Le caratteristiche tecniche vedono uno smalto grasso uniformemente distribuito, mentre sul retro l’orlo, l’attacco del cavetto e la bordura del piede sono sottolineati di giallo. Sul fronte si osserva l’uso del verde in tutte le gradazioni, l’impiego dell’arancio soprattutto nelle vesti delle figure, e i tronchi scuri lumeggiati da tocchi di bianco, tecnica questa utilizzata con la stessa finalità anche nei volti, nelle armature e per marcare le onde del ruscello. Il modo di delineare le gambe delle figure – caratterizzate da polpacci grossi e muscolosi, da piedi piccoli e sottili, nonché da ginocchia rigonfie – e la capacità di porre prospetticamente i gruppi di personaggi, ci portano verso un pittore capace, in grado di dominare con finezza la materia.
L’accostamento con alcuni esemplari dalle caratteristiche stilistiche simili è molto utile: il raffronto fra l’espressione del volto di Diana e quella dei visi delle figure delineate in un piatto della raccolta del Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo, nonché la somiglianza con altri esemplari firmati, ci avevano suggerito una possibile a Francesco Durantino, proprio agli inizi della sua collaborazione con la bottega di Guido di Merlino a Urbino.
Altre caratteristiche stilistiche, come ad esempio il modo di raffigurare i volti con la pupilla degli occhi evidenziata, la modalità di raffigurazione delle vesti, fermate sui fianchi, e di lumeggiare le foglie degli alberi, oppure i tronchi sinuosi, sono tutti elementi che ritroviamo in alcuni esemplari attribuiti alla bottega urbinate. Si confronti, per esempio, il volto della figura di Diana con il viso di una delle assistenti al parto di Mirra presente su un piatto lustrato al Victoria and Albert Museum di Londra, attribuito da John Mallet a Francesco Durantino nel 1999. Lo stesso volto va confrontato con quello del personaggio con lorica verde che si trova alle spalle di protagonista nello splendido piatto del British Museum che raffigura l’arrivo del Coriolano alle porte di Roma; con questo piatto, firmato per esteso e datato 1544, il nostro esemplare condivide altre caratteristiche.
Sappiamo che Francesco Durantino era attivo nell’importante bottega urbinate di Guido di Merlino fin dal 1543, come attesta il contratto da lui firmato con altri due pittori in quell’anno. Le bocche aperte, le corazze arancio che sottolineano l’anatomia dei corpi e i polpacci larghi, si ritrovano ancora in un altro piatto del British Museum attribuito allo stesso pittore e raffigurante Scipione che lascia la Nuova Cartagine.
Anche il confronto calligrafico fra il retro del nostro piatto e gli esemplari firmati conservati a Urbino sembra confermare l’ipotesi attributiva.
Ciononostante, il castello attributivo non sembra reggere, poiché, come ci ha suggerito Timothy Wilson, il pittore durantino mostra in quel periodo uno stile ben preciso, più complesso nelle costruzioni figurative.
L'opera, che mostra molte affinità con quella che segue, resta comunque attribuibile all'importante bottega di Guido Merlino, considerata una delle più antiche insieme a quella di Guido Durantino. Menzionato nei documenti fra il 1523 e il 1564, Guido di Merlino era specializzato in istoriati con soggetti tratti dalla mitologia classica e dalla storia antica. La sua bottega è ricordata nelle iscrizioni di almeno tredici opere che menzionano la sua attività, situata nel quartiere di San Polo, a sud del Palazzo Ducale, che vendette al nipote Maestro Baldo di Simone nel 1555. Allo stato attuale degli studi, si pensa che i pittori attivi nella bottega fossero almeno quattro, come dimostrano le differenze di mano tra i due piatti di questo catalogo.