TONDINO CON STEMMA ARALDICO
Faenza, “1524“
Maiolica decorata in policromia, con blu, giallo chiaro, giallo e turchino con lumeggiature bianche su fondo azzurro-grigio “berettino”
alt. cm 3,4; diam. cm 18,5; diam. piede cm 5
Sul retro, sotto il piede, cerchio suddiviso in quattro parti da croce con punto in uno dei quadranti; “B” incisa prima della cottura nello smalto, affiancata da una “c”(?) di dimensioni minori.
Intatto; sbeccatura sul bordo in basso a destra; piccole sbeccature all’orlo
Corredato da attestato di libera circolazione
Earthenware, covered with a ‘berettino’ glaze and painted in blue, light yellow, yellow, turquoise and white highlights
H. 3.4 cm; diam. 18.5 cm; foot diam. 5 cm
On the back, beneath the base, is a crossed ball with a dot in one quarter; ‘B’ mark inscribed before glaze firing, beside a ‘c’(?) mark (smaller)
In very good condition; chip to rim at 5 o’clock; minor chips to rim
An export licence is available for this lot
Il tondino presenta un profondo cavetto e una larga tesa orizzontale con bordo orlato di blu. Il corpo ceramico è interamente ricoperto di smalto azzurro-grigio “berettino”. Nel centro del cavetto, racchiuso in un medaglione incorniciato da una fascia decorata a puntini e fioretti in bianco su azzurro, è dipinto uno stemma bipartito con un lupo bianco rampante su fondo blu a sinistra e una mitra papale con chiavi di San Pietro e tre palchi di cervo su fondo rosso a destra. Sulla tesa si estende una decorazione a grottesche con quattro figure appena abbozzate di arpie dal volto di bambino, alternate a pilastri e amorini; ogni arpia è sormontata da una mensola su cui si legge una lettera: le quattro lettere, insieme, vanno a formare la sigla latina “SPQR” (Senatus Populusque Romanus). I volti dei quattro amorini poggiano invece su altrettanti cartigli recanti la data “1524”. Le volute ai lati delle arpie si potrebbero leggere come i classici delfini, in questo caso molto semplificati, quasi stereotipati.
Sul retro il consueto motivo decorativo a spirali e fioroni a corolla continua circonda il piede, che contiene la caratteristica marca faentina con cerchio suddiviso in quattro parti da croce con cerchietto in uno dei quadranti, per consuetudine utilizzata a definire i prodotti della bottega della Ca’ Pirota, e una “B” forse affiancata da una “c” di dimensioni minori, entrambe incise nello smalto prima che venisse delineata la “marca”.
Lo stemma, dipinto con abbondanza di materia, tanto da apparire in rilievo, si presenta nella classica forma di alleanza, e cioè bipartito. Trattasi dello stemma Altoviti, un lupo rapace d’argento in campo nero (con riferimento a un leggendario lupo che avrebbe salvato il capostipite della famiglia, sbranando un suo nemico), unito allo stemma Soderini, di rosso a tre teschi di cervo d’argento posti di fronte.
Il piatto ha un confronto puntuale in un esemplare conservato all’Ashmolean Museum di Oxford, dal quale si distingue per la scelta delle grottesche con le arpie, non presenti nel piatto inglese, e per la mancanza dell’amorino che sormonta lo stemma.
Per l’esame del piatto londinese e dei confronti ci torna assai utile lo studio di Timothy Wilson, pubblicato in occasione dell’importante mostra sul banchiere fiorentino Bindo Altoviti tenutasi nel 2004 all’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston e al Bargello di Firenze. Oltre al nostro sono noti infatti altri pezzi di questo servizio, conservati rispettivamente al Museo di Edimburgo ed all’Allen Memorial Art Museum di Oberlin; un quinto fu pubblicato nel catalogo della vendita Chevret nel 1951. Tutti questi cinque piatti sono stati pubblicati nella scheda contenuta nel catalogo della mostra: tra di loro quindi è presente anche il nostro, noto perché proveniente dalla celebre raccolta Adda.
Bindo Altoviti era nato a Firenze nel 1491 e fu presto erede della fortuna paterna che seppe gestire con maestria, tanto da divenire uno dei banchieri più noti alla metà del XVI secolo. Noto come mecenate di grandi artisti, al punto che ne abbiamo un bel ritratto ad opera di Raffello oggi alla National Gallery di Washington e un ritratto in bronzo realizzato da Benvenuto Cellini, a Roma fu protettore, amico e mecenate di molti artisti di fama, tra i quali Michelangelo e Sansovino. Al Vasari commissionò il quadro della Concezione di Maria per la cappella Altoviti nella chiesa dei SS. Apostoli a Firenze.
Forte era il legame tra le famiglie Altoviti e Strozzi, dettato non solo da parentela ma anche da una forte appartenenza politica.
La proposta di Wilson secondo la quale i servizi di piatti Strozzi–Ridolfi e Altoviti–Soderini sarebbero entrambi ascrivibili cronologicamente al 1524, ha fatto pensare a una committenza comune, o forse a un dono tra dame, ipotesi che ci sembra plausibile. L’anno del matrimonio, che giustificherebbe l’uso dello scudo di alleanza, non coincide infatti con la data di produzione dei servizi e in ogni caso la anticipa di almeno circa 15 anni.
Ci pare anche corretto indicare per questi piatti una probabile produzione da parte della bottega Bergantini, che potrebbe essere confermata non tanto dalla marca dipinta sul retro, quanto dalla presenza della “B” e della “c” incise nello smalto, caratteristica che sembra ormai accumunare questo tipo di servizio, e in particolare i manufatti con il retro dipinto con motivo “alla porcellana”.
L’ipotesi attributiva a ca’ Pirota è invece ormai da scartare.
Il piatto, esposto al Bulington Fine Art Club nel 1909, appartenne alla collezione Oppenheimer prima e Adda in seguito.