Domenico di Bartolomeo detto Domenico Puligo
(Firenze 1492-1527)
SACRA FAMIGLIA
olio su tavola, cm 75x60 con cornice argentata a mecca di epoca posteriore con decoro fogliato a pastiglia e intagliata a motivo di ovuli
Provenienza:
collezione privata, Firenze
Corredato da parere scritto di Carlo Falciani, Firenze, 27 luglio 2014
Questa Sacra Famiglia va inserita senza dubbio fra le opere autografe di Domenico Puligo, pittore fiorentino della prim’ora, contemporaneo del Pontormo e del Rosso, e lodato da Giorgio Vasari come il miglior allievo di Ridolfo del Ghirlandaio, sopra tutti gli altri “eccellente nel disegno e più vago e grazioso nel colorito”. Il discepolato presso Ridolfo è subito visibile in alcuni elementi dell’opera quali la composizione arcaica delle figure, ripresa ed elaborata su modelli fiorentini di inizio secolo raffaelleschi, della scuola di San Marco, e sarteschi. Un ricordo dello stile di Ridolfo è poi evidente nel disegno armonico del viso di Maria posto quasi a confronto con quello di Giuseppe, rugoso e segnato in ossequio ai Vangeli apocrifi che lo descrivono vecchio rispetto alla sposa fanciulla.
Fra i pochi studi dedicati al Puligo, rimane strumento essenziale il catalogo della mostra tenutasi a Palazzo Pitti nel 2002 (Domenico Puligo, catalogo della mostra a cura di Elena Capretti e Serena Padovani, Livorno 2002), dove è stato riunito per la prima volta il corpus dei dipinti attribuiti all’artista. Fra le opere pubblicate non appare infatti nessuna composizione identica a quella del dipinto in esame, a dimostrazione di come, anche in questo caso, Domenico Puligo offra una variazione su un tema trattato più volte durante la sua breve carriera terminata con la peste del 1527.
A confronto con questa tavola potranno essere ricordati dipinti come la Sacra Famiglia della Galleria Palatina (inv. 1912 n. 486, in Domenico Puligo, catalogo della mostra, cit., p. 46, n. 23), dove la figura del san Giuseppe sembra aggiunta in un secondo momento a completare una composizione già articolata secondo stilemi usati varie volte anche da Ridolfo. La fisionomia quieta di Maria espressa attraverso lineamenti armonici che sono, come già detto un’eco del disegno composto del maestro, andrà accostata invece a dipinti quali il Ritratto femminile, della Galleria Nazionale del Canada a Ottawa (inv. 567, in Domenico Puligo, catalogo della mostra, catalogo della mostra, cit., p. 48 n. 41); oppure alla Sacra Famiglia in collezione privata (in Domenico Puligo, catalogo della mostra, cit., p. 61, n. 70) dove il volto della Madonna è quasi sovrapponibile a quello dipinto dal Puligo in questa tavola. Rispetto a quell’opera appare invece variata la figura del Bambino, parimenti seduto, che qui tiene le mani in grembo, mentre nel dipinto a confronto indica con la mano destra il seno della madre e si volge verso il padre ad istituire un muto colloquio. In entrambe le composizioni il san Giuseppe sembra quasi inserito in un secondo momento a riempire uno spazio rimasto vuoto, lì in basso a sinistra, qui dietro alla Madonna nell’angolo destro, ma sempre avvolto in un’ombra soffusa che rende morbida e avvolgente l’atmosfera dell’opera. Tale carattere è ancora tipico dell’opera di Domenico Puligo, che ha sempre prediletto una pittura fatta di velature capaci di sfumare i contorni in un’atmosfera ombrosa di radice leonardesca. La sua pittura è infatti riconoscibile dal modo in cui il colore viene steso con velature sovrapposte a costruire una superficie di grande fragilità e sovente abrase se il dipinto ha subito drastiche puliture. I toni ombrosi si ispessiscono soprattutto nei panneggi ma restano invece trasparenti negli incarnati e nei capelli che vengono di solito rilevati da fili luminosi, come in questa tavola i riccioli del Bambino. Lo stesso Vasari, nella biografia dell’artista, indicava questo suo carattere, ricordando che egli preferiva dipingere con “dolcezza senza tignere l’opere o dar loro crudezza” facendo “a poco a poco sfuggire i lontani, come velati da una certa nebbia, dava rilievo e grazia alle sue pitture “. Tale modo di stendere il colore, e quella certa “nebbia”, secondo Vasari talvolta serviva al Puligo per nascondere alcune durezze del disegno, così che “i contorni delle figure che faceva si andavano perdendo, in modo che occultando gl’errori non si potevano vedere ne’ fondi dove erano terminate le figure; che nondimeno il suo colorire e la bell’aria delle teste facevano piacere l’opere sue”. Lo sfumato nascondeva dunque agli occhi dello storico aretino le durezze del disegno che anche qui, come in molte altre opere di Domenico, rimangono visibili se si concentra lo sguardo sulle mani o sui piedi del Bambino. Sempre secondo Vasari, Domenico era così affezionato al suo stile che “tenne sempre il medesimo modo di fare e la medesima maniera che lo fece essere in pregio mentre che visse”. Da questa fedeltà alla propria maniera pittorica mista di elementi sarteschi, ridolfiani e leonardeschi deriva la difficoltà di datazione delle opere del Puligo, che sembrano vivere di minute trasformazioni più legate alla differenza fra i soggetti (le pale d’altare, i ritratti, o le Madonne col bambino) piuttosto che al passare del tempo. Tuttavia, una proposta di sequenza cronologica è stata fatto da Elena Capretti, (E. Capretti, Domenico Puligo, un protagonista ‘ritrovato’ dell’arte fiorentina del Cinquecento, in Domenico Puligo, catalogo della mostra, cit., pp. 24-53, con bibliografia), anche se talvolta le variazioni sono lievissime e la progressione stilistica difficile da ancorare ad opere certe. Seguendo alcuni punti fermi stabiliti dalla Capretti si può proporre dunque, anche per questa tavola, una possibile datazione all’interno dell’esiguo corpus del Puligo dove convivono dipinti di qualità alterna ma comunque autografi. In via del tutto ipotetica, visto l’esiguo numero di riscontri, questa Sacra Famiglia, andrà ritenuta un’opera degli anni estremi del Puligo giacché sono visibili alcune abbreviazioni del disegno, e sfaccettature della forma simili a quelle evidenti nel bel Ritratto di uomo che scrive a Firle Place nel Sussex, unica opera datata del Puligo al 1523, che già risente delle eccentriche forzature della coeva pittura fiorentina degli anni Venti del Cinquecento.
Il dipinto si presenta in buone condizioni anche se la superficie pittorica appare leggermente abrasa in modo uniforme come sovente accade nelle opere dell’artista.