MASTERPIECES FROM ITALIAN COLLECTIONS

thu 1 October 2015
Live auction 45
23

Bernardo Cavallino

€ 120.000 / 150.000
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Bernardo Cavallino

(Napoli 1616 – 1656)

 

ALLEGORIA DELLA PITTURA

olio su tela, cm 72x59, entro cornice intagliata e dorata

 

ALLEGORY OF PAINTING

oil on canvas, 72 x 59 cm, in a carved giltwood frame

Provenienza

Digione, collezione privata; Londra, collezione Carrit; Londra, Artemis Fine Arts (1978); Roma, Enzo Costantini (1979);

Napoli, collezione privata.

 

Esposizioni

A Selection of Italian Paintings 15th – 18th century, Londra, Artemis Fine Arts, 1978, n. 12; Bernardo Cavallino of Naples 1616-1656, Cleveland, Ohio, The Cleveland Museum of Art – Fort Worth, Kimbell Art Museum, 1984, n. 66; Bernardo Cavallino (1616-1656) Napoli, Museo Pignatelli, 1985, A 37.

 

Bibliografia

Ann T. Lurie, in Bernardo Cavallino of Naples 1616-1656. Catalogo della mostra a cura di Ann Percy e Ann T. Lurie,

con saggi di Nicola Spinosa e Giuseppe Galasso, 1984, pp. 182-83, n. 66; Ann T. Lurie, in Bernardo Cavallino (1616-

1656). Catalogo della mostra, Napoli 1985, pp. 146-47, A 37; Laura Di Domenico, Un’aggiunta al catalogo di Andrea

Vaccaro e alcune considerazioni sui rapporti con il Cavallino, in “Confronto” 2003, 2, p. 131, fig. 12; Nicola Spinosa, Grazia

e tenerezza “in posa”. Bernardo Cavallino e il suo tempo. 1616 – 1656, Roma 2013, p. 347, n. 82; riprodotto a colori, fig. 124 a p. 165

 

Capolavoro acclamato di Bernardo Cavallino, il dipinto qui offerto – per la prima volta sul mercato in quasi quarant’anni – riunisce nella maniera più felice le qualità che resero famoso l’artista napoletano durante la sua breve esistenza e ispirarono le righe in sua lode di Bernardo De Dominici, pur così male informato sulla cronologia e gli eventi esteriori della sua carriera. Così infatti il biografo napoletano caratterizza la maniera del Cavallino nei quadri da stanza e a piccole figure, il genere a cui l’artista si dedicò in maniera esclusiva dipingendo “molte opere di così delicato stile, e di vivo colore, proprietà e naturalezza che non sembrano dipinte, ma vive le sue figure; servendosi di pochissimi lumi, sbattimenti, e riflessi, riverberando la luce con tal soavità che dolcemente inganna la vista di chiunque li guarda”: e se la notazione sull’effetto naturale e vivo delle figure dipinte rientra nei motivi topici della letteratura artistica, i mezzi impiegati dal pittore per conseguire questo risultato sono individuati da De Dominici con l’acutezza di chi, pur a un secolo o quasi di distanza, dovette conoscere e apprezzare molte di quelle opere presenti nelle collezioni napoletane, e per l’appunto descritte nella Vita dell’artista con ricchezza di particolari e straordinaria intelligenza critica.

Preceduta dalla fiamma del mantello e dall’oro della veste, una giovane donna affiora dall’ombra, lo sguardo fermo e deciso, le labbra semiaperte a esprimere un pensiero che possiamo solo indovinare. I pennelli e la tavolozza ce la mostrano come personificazione della pittura, un’attività ispirata dalla poesia, cui allude la corona di lauro che cinge il capo della figura, e fondata sulla pratica del disegno, come sottolinea il porta-mine impugnato con la mano destra: lo stesso gesto lieve e sicuro con cui, altre volte, abbiamo visto le modelle di Bernardo Cavallino ostentare un ramo di palma, trasformandosi per l’occasione in giovani martiri. L’insistenza sul disegno quale principio fondante del dipingere richiama senza dubbio una pratica abituale dell’artista, oggi documentata da una serie di fogli di sua mano catalogati da Cristiana Romalli (in appendice al catalogo dei dipinti curato da Nicola Spinosa, 2013) e comunque già nota nel Seicento quando suoi disegni erano presenti nelle raccolte medicee, come risulta da una nota di Filippo Baldinucci.

Sontuose nei colori, gli stessi peraltro che vediamo dipinti sulla tavolozza, le vesti della figura rivelano il debito dell’artista nei confronti del suo possibile maestro, Massimo Stanzione, ma anche (e proprio nel gesto elegante della destra che emerge dal lino della camicia) dei modelli lasciati a Napoli da Simon Vouet e da Artemisia Gentileschi:

rivissuti però con il garbo discreto e la tenera sensualità che di Cavallino furono appunto il tratto distintivo e che resero così speciale ed inimitabile la sua pittura.

Caratteristiche che ritroviamo comunque nelle opere della sua maturità, presumibilmente non lontane da quella data del 1645 apposta alla paletta di Capodimonte (fig. 1) che sembra oggi costituire l’unico appiglio sicuro per la cronologia dell’artista. La scelta di rinunciare a dipingere “in grande” opere di soggetto storico e soprattutto religioso, e quindi a lavorare per le chiese di Napoli, ha privato infatti le opere di Bernardo Cavallino di ogni possibile appiglio cronologico offerto da documenti o da fonti indirette; una scelta aggravata, peraltro, dalla resistenza dell’artista napoletano a

firmare i propri dipinti e ancor di più a datarli. Al tempo della mostra dedicatagli nel 1984 solo otto opere risultavano firmate, e una sola datata, mentre ai pagamenti per lavori eseguiti nel 1646 e nel 1649 non corrispondono opere rintracciate: una situazione che gli studi più aggiornati vedono sostanzialmente immutata.

Difficile quindi tracciare una esatta cronologia del suo pur nutrito catalogo, ricostruito a partire dalla riscoperta moderna del pittore, circa un secolo fa, e meglio precisato da Raffaello Causa nell’ambito della sua storica sistemazione del Seicento napoletano, a cui seguirono per l’appunto gli studi di Ann Percy confluiti nella mostra citata, e la più recente monografia di Nicola Spinosa. Non è dubbio comunque che la Allegoria della Pittura qui presentata debba accostarsi alle opere più importanti e mature di Bernardo Cavallino: alla celebre Cantatrice di Capodimonte (fig. 2) per esempio, di cui condivide il gesto appena lezioso delle dita inarcate, come alla Santa Caterina a Birmingham nel Barber Institute of Fine Arts(fig. 3), o infine alla più austera e pensosa Cecilia a Boston, Museum of Fine Arts (fig. 4): opere tutte che la critica

più aggiornata suggerisce appunto di collocare alla metà degli anni Quaranta del Seicento o appena oltre. La precede, forse proprio all’inizio del quinto decennio, una diversa versione dello stesso soggetto, nota anche attraverso una replica di bottega (N. Spinosa, 2013, p. 311, cat. 45; A.T. Lurie, 1985, p. 146) in cui a impersonare la pittura è una giovane donna in vesti assai più dimesse, individuata nei piani del viso e nelle pieghe del mantello da più decisi risalti di lume. Un angelo la incorona di fiori, forse a indicare un’ispirazione soprannaturale alla sua arte: un’ambiguità iconografica

ormai risolta nel nostro dipinto, vera e propria dichiarazione di poetica.

 

Note biografiche

I dati certi su Bernardo Cavallino si limitano alla sua nascita nell’agosto del 1616, a conferma della maggiore età dichiarata in un altro documento del 1636, e ai pagamenti ricevuti nel 1646 e nel 1649, rispettivamente da Carlo Cioli e dal principe di Cardito, per opere “grandi” non rintracciate, raffiguranti, nel caso del primo committente citato, una Annunciazione e una Immacolata Concezione. In mancanza di ulteriore documentazione, si ritiene che l’artista scomparisse, come tanti altri della sua generazione, durante l’epidemia di peste che colpì Napoli nel 1656 provocando una tale quantità di decessi da renderne impossibile la registrazione. Poche e scarsamente attendibili le notizie biografiche riportate da Bernardo De Dominici nelle Vite de’ Pittori, Scultori e Architetti Napoletani (III, 1743, pp. 32-43), a cominciare dalla data di nascita nel 1624: egli lo dice giovanissimo allievo di Massimo Stanzione e attribuisce la sua decisione di dedicarsi alle “figure piccole” al consiglio di Andrea Vaccaro, dopo che il giovane pittore aveva partecipato

alla decorazione del soffitto della chiesa di S. Diego all’Ospedaletto, peraltro distrutta alla fine del Settecento e quindi non giudicabile. Unica opera datata di Bernardo Cavallino è la paletta ora a Napoli, Museo di Capodimonte (fig.1) proveniente dalla chiesa di S. Antoniello delle Monache e raffigurante Santa Cecilia incoronata da un angelo: la costa del libro in primo piano reca infatti le iniziali del pittore e la data del 1645 intorno alla quale si scalano le opere della sua maturità. Ad una fase precedente, verosimilmente alla metà degli anni Trenta, si situano generalmente le composizioni a più figure intere ma di piccolo formato, debitrici dell’esempio di Aniello Falcone (le figurine “alla pussinesca piene di spirito e di espressione” di cui parla Lanzi, Storia pittorica dell’Italia… II, p. 279) ma anche, nella gamma bruna e nelle luci contrastate, del primo naturalismo napoletano: soluzioni che dal 1640 circa daranno luogo, conformemente al percorso generale della pittura napoletana, a una gamma cromatica luminosa e schiarita e a una inedita monumentalità, sempre declinata però in modi personalissimi e lontani dall’accademia.

 

Bibliografia sull’artista

B. De Dominici, Vite depittori, scultori e architetti napoletani, Napoli 1742-43, III, pp. 32-43; A. De Rinaldis, Bernardo Cavallino, Napoli 1909; A. De Rinaldis, Cavallino, Roma 1921; U. Prota Giurleo, Pittori napoletani del Seicento, Napoli 1953, pp. 155-158; W. Vitzthum, in Disegni napoletani del Seicento e Settecento (catalogo della mostra), Roma 1969, pp. 14 s.; R. Causa, in Storia di Napoli, V, Napoli 1972, pp. 941-944; Bernardo Cavallino of Naples 1616-1656. Catalogo della mostra, 1984; Bernardo Cavallino (1616-1656). Catalogo della mostra, Napoli 1985; Nicola Spinosa, Grazia e tenerezza “in posa”. Bernardo Cavallino e il suo tempo. 1616 – 1656, Roma 2013.

 

An acclaimed masterpiece by Bernardo Cavallino, the painting offered for sale here – on the market for the first time in almost forty years – expresses in the most felicitous way the qualities which brought fame to the Neapolitan artist during his brief lifespan, and which inspired the praise heaped on him by Bernardo De Dominici, even though the biographer was ill-informed about chronology and the external events of the painter’s career. De Dominici characterized Cavallino’s manner in easel paintings, with figures presented in a small format – the genre he exclusively adopted – stating that he painted “many works in such a delicate style, vivid colours, and so decorous and natural, that his figures seem more alive than painted; he used limited sources of light and reflection, making light reverberate so gently that it sweetly beguiles any onlooker”; and while his words on the natural, life-like effect of the painted figures formed a customary topos of art history writing, the means used by Cavallino to achieve that end are identified with the acuity of someone who (though it was almost a century later) must have known and appreciated many such works in Neapolitan collections, described in his Life of the artist with a wealth of detail and extraordinary critical intelligence.