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wed 19 October 2016
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Giovan Battista Spinelli

€ 18.000 / 25.000
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Giovan Battista Spinelli

(Bergamo o Chieti; attivo dal 1630 circa - documentato fino al 1655)

CRISTO E LA SAMARITANA AL POZZO

olio su tela, cm 128,5x99

 

 

Esposizioni

Mostra della Pittura Napoletana del 600 – 700 – 800, Napoli, Castelnuovo, 1938.

Bibliografia

Piccola guida della Mostra della Pittura Napoletana del 600 – 700 – 800, Napoli 1938, p. 71, n. 1; La Mostra della Pittura Napoletana del 600 – 700- 800, Napoli 1938, p. 319, n. 1.

F. Abbate, Giovanni Battista Spinelli: la Samaritana al pozzo, in “Paragone” 1970, 239, pp. 61-62.

N. Spinosa, in La Pittura Napoletana da Caravaggio a Luca Giordano. Catalogo della mostra, Napoli 1982, p. 272.

D.M. Pagano, in Civiltà del Seicento a Napoli. Catalogo della mostra, Napoli 1982, I, pp. 177 e 465.

N. Spinosa, Aggiunte a Giovan Battista Spinelli, in “Paragone” 1984, 411, p. 21.

L. Ravelli, Considerazioni su un artista di origine bergamasca: Giovan Battista Spinelli, in “Atti dell’Ateneo di Scienze Lettere e Arti”, 1985-86, pp. 837-38.

N. Spinosa – D.M. Pagano, Giovanni Battista Spinelli, in I Pittori Bergamaschi. Il Seicento. IV, Bergamo 1987, pp. 24-25, n. 8; p. 33, fig. 2.

 

Esposto come opera di Bernardo Cavallino alla storica mostra sulla pittura napoletana organizzata nel 1938 da Sergio Ortolani, nel cui catalogo non era tuttavia riprodotto, il dipinto qui offerto è stato pubblicato per la prima volta da Francesco Abbate nel 1970 e da lui restituito a Giovan Battista Spinelli su cui, dopo la riscoperta da parte di Roberto Longhi nel 1969, si inauguravano allora i primi studi.

L’attribuzione proposta dallo studioso napoletano è stata confermata da quanti negli anni successivi, a cominciare da Nicola Spinosa, si sono occupati dell’artista; la presenza di numerose sue opere alla mostra sul Seicento napoletano del 1984 dà conto dell’interesse con cui, dopo la fondamentale apertura longhiana, si guardava alla sua produzione capricciosa e bizzarra come a una voce in qualche modo fuori dal coro in quella scuola napoletana distinta, nella prima metà del secolo, da una sorta di polarità tra i seguaci più o meno prossimi di Caravaggio e il classicismo di Massimo Stanzione.

A quest’ultimo, secondo Bernardo De Dominici, si sarebbe accostato Spinelli per un vero e proprio alunnato verso il 1640-42: un’ipotesi che può dare ragione della chiarezza compositiva in qualche modo classica e monumentale di alcune opere, tra cui il nostro dipinto, distanti dal modello nordico che distingue altre scelte dell’artista e in particolare la sua produzione grafica nelle raccolte degli Uffizi.

Il dipinto qui presentato è stato visto in stretta contiguità con il Giacobbe e l’angelo, anch’esso in collezione privata e forse proveniente dalla collezione di Giosuè Acquaviva d’Aragona, duca di Atri, accostabile al nostro anche per le proporzioni delle figure e la loro ambientazione nel paesaggio.

Riscoperto da Roberto Longhi nel 1969 a partire dalle due importanti Storie di David agli Uffizi, Giovan Battista Spinelli fu reso noto a un pubblico più ampio in occasione della storica rassegna sul Seicento napoletano fortemente voluta da Raffaello Causa e realizzata dopo la sua scomparsa dalla Soprintendenza napoletana, nel 1984.

Oltre che con un gruppo di fogli in parte provenienti dallo storico nucleo delle collezioni medicee conservato agli Uffizi, Spinelli era presente in quell’occasione con ben dieci tele in una sala a lui dedicata: una scelta che dava conto della sua personalità appena risarcita e della sua situazione anomala nell’ambito della scuola napoletana, più che del peso che in quella scuola l’artista di origini bergamasche aveva effettivamente rivestito.

Non sappiamo dove fosse avvenuta la sua formazione, condotta in primo luogo sulle stampe degli autori nordici del Cinquecento individuati da quanti, a partire da Walter Vitzthum, si sono occupati della produzione grafica del pittore. Incisioni nordiche circolavano senza dubbio a Napoli nel tempo dell’educazione dell’artista, fra terzo e quarto decennio del secolo (come si deduce dalla probabile data circa 1630 per la pala nella chiesa della Trinità di Ortona); ma la scelta costante dei tipi bizzarri e a volte stravolti che in misura diversa rendono inconfondibili le opere di Spinelli potrebbe indurci a ricercare in area bergamasca, come sostiene Lanfranco Ravelli, le ragioni del suo programmatico rifiuto del classicismo