Cerchia di Giovanni Marigliano, detto Giovanni da Nola
(Nola 1488 circa - Napoli 1558)
RE MAGIO (MELCHIORRE?)
statua in legno dipinto e dorato, cm 116x40x44
Bibliografia di riferimento
L. Gaeta, Sulla formazione di Giovanni da Nola e altre questioni di scultura lignea del primo ‘500, in “Dialoghi di Storia dell’Arte”, 1, 1995, pp. 70-103;
Giovanni da Nola, Annibale Caccavello, Giovan Domenico d’Auria. Sculture ‘ritrovate’ tra Napoli e Terra di Lavoro 1545-1565, a cura di R. Naldi, Napoli 2007
La bella testa dai tratti maturi che esprimono nobiltà e saggezza, l’incedere lento, riverente, leggermente incurvato verso il basso come nell’atto di offrire un dono con la mano destra dischiusa, la fulgida, preziosa cromia delle vesti, con la tunica interamente dorata e il mantello argentato, i calzari a stivale adatti a un lungo viaggio, ci consentono di identificare questa notevole statua lignea con uno dei tre re Magi (ovvero sapienti) venuti d’Oriente per salutare e omaggiare la nascita di Gesù “re dei Giudei” (nello specifico quello di mezza età, perlopiù ritenuto il persiano Melchiorre menzionato nel Vangelo dell’infanzia Armeno), e quindi di ricondurla ad uno smembrato gruppo presepiale raffigurante la Natività con l’Adorazione dei Magi.
Tali affollati Presepi a figure mobili, grandi al vero o poco meno, in legno dipinto con suntuosi motivi tessili, furono particolarmente diffusi nell’arte napoletana del Rinascimento, cui rimandano sia la raffinata decorazione graffita a ‘estofado’, ancora ben conservata nelle bordure, nel risvolto del mantello e nella cintura - una tecnica di ascendenza iberica oggi rivalutata da un’ampia letteratura critica -, sia gli aspetti formali, che trovano significativi riscontri soprattutto nelle opere di Giovanni da Nola, protagonista della scultura partenopea della prima metà del Cinquecento, in marmo e in legno (F. Abbate, La scultura napoletana del Cinquecento, Roma 1992, pp. 181-258).
Formatosi nella bottega dell’intagliatore lombardo Pietro Belverte, apprezzato proprio per i gruppi presepiali dipinti a ‘estofado’ (Presepe Carafa, Napoli, San Domenico Maggiore, 1507), il giovane Nolano si distinse nei suoi primi anni per una cospicua produzione di sculture lignee (Compianto, Teggiano, Chiesa della SS. Pietà, 1510-12; San Sebastiano, Nocera Inferiore, Convento di Sant’Antonio, 1514; Ancona di Sant’Eustachio, Napoli, Santa Maria la Nova, 1516-17 ca.: Gaeta, op. cit.; R. Naldi, Giovanni da Nola tra il 1514 e il 1516, in “Prospettiva”, 77, 1995, pp. 84-100). Un successo, ben attestato dal Presepe commissionatogli dal Sannazzaro per la chiesetta di Santa Maria del Parto a Margellina, eseguito con l’intervento di collaboratori tra il 1519 e il 1524 (composto in origine da quattordici statue oggi ridotte a cinque), che dovette indurre la bottega di Giovanni da Nola ad impegnarsi nella scultura lignea anche negli anni successivi, quando il marmo era ormai la materia privilegiata. Lo suggeriscono la Vergine e il San Giuseppe oggi nel Museo di San Martino - immagini utilmente confrontabili con quella che qui si presenta, come mi segnala Riccardo Naldi -, provenienti da un Presepe ad altorilievo già in San Giuseppe dei Falegnami, per i quali è stata proposta una cronologia verso il 1530 (F. Bologna, in Sculture lignee nella Campania, catalogo della mostra, Napoli, Palazzo Reale, a cura di F. Bologna e R. Causa, Napoli 1950, pp. 178-179 n. 77), o anche una figura virile in adorazione (San Giuseppe o Un pastore) di collezione privata databile al tempo dell’Altare Ligorio in Sant’Anna dei Lombardi, scolpito tra il 1528 e il 1532 (R. Naldi, in Vetera et nova, a cura di M. Vezzosi, Firenze 2005, pp. 86-93 n. 6).
In effetti, nell’opera in esame, il movimento trattenuto che conferisce alla statua una postura ingobbita rimarcando la flessione delle ginocchia e lo sviluppo snodato della gamba in primo piano, l’acuta definizione anatomica e l’articolazione prensile delle mani, il complesso andamento del panneggio che s’increspa in un dedalo di pieghe morbidamente acciaccate per poi ricadere in nette falde lamellari, risultano peculiarità formali ricorrenti in particolar modo nei lavori in marmo della maturità di Giovanni da Nola - ad esempio, le ritroviamo nel San Matteo dell’Altare Arcella in San Domenico Maggiore, datato 1536, o nella Deposizione Giustiniani di Santa Maria delle Grazie a Caponapoli -, mentre meno stringenti appaiono i riscontri per la testa, più tersa e composta. Dunque, non essendo noti lavori in legno direttamente ascrivibili al maestro in questi ultimi decenni e considerando la consistente compartecipazione di Annibale Caccavello e Gian Domenico d’Auria alle sue ultime imprese (Giovanni da Nola, op. cit.), sembra opportuno in questa sede una certa prudenza attributiva, che, d’altra parte, non ci esime dal riconoscere al nostro Re magio una intensità espressiva e una qualità d’intaglio difficilmente compatibili con i modi, spesso più grevi, enfatici e impacciati, dei due ben noti collaboratori e seguaci del Nolano.
G.G.