Francesco Giamberti, detto Francesco da Sangallo o il Margotta
(Firenze 1494 - 1576)
FLORA
statuetta in bronzo a patina bruna con tracce di lacca rossa, cm 24x8x10
base in legno con inserti in marmo rosso non pertinente, cm 15,5x9x7,5
Bibliografia
C. Pizzorusso, in Vetera et nova, a cura di M. Vezzosi, Firenze 2005, pp. 70-77 n. 4;
F. Ortenzi, Per il giovane Francesco da Sangallo, in “Nuovi Studi”, XI, 2006, 12, pp. 71-84 (p. 76 figg. 96-97);
F. Ortenzi, Formazione e ascesa di Francesco da Sangallo, in “Proporzioni”, n.s., VII-VIII, 2006-2007, pp. 49-66 (p. 57 fig. 65).
La sofisticata, sensuale figurina, che indossa una leggera tunichetta di velo lasciando scoperto un seno, è coronata da un serto di roselline che induce a identificarla nella dea Flora, personificazione della Primavera, come può confermare il gesto di offerta, o meglio d’invito, memore della celebre allegoria dipinta dal Botticelli per Lorenzo di Pierfrancesco dei Medici, oggi agli Uffizi. La statuetta, di una tipologia piuttosto rara nel panorama della scultura fiorentina del Rinascimento, assimilabile ai bronzetti profani da studiolo eseguiti da Baccio Bandinelli intorno al 1530/40 - come la sinuosa Venere con colomba e fiori (Firenze, Museo Nazionale del Bargello) proveniente dalle raccolte dei Medici in Palazzo Vecchio, simile nella postura dinoccolata e persino nell’elegante chignon - è stata convincentemente attribuita da Claudio Pizzorusso (op. cit.) a Francesco da Sangallo, proposta poi ribadita da Francesco Ortenzi (op. cit.) con ulteriori riscontri inediti, suggerendone una pertinente datazione nel pieno degli anni Trenta.
I modi peculiari di Francesco - figlio di Giuliano da Sangallo e ultimo germoglio di una rinomata famiglia di architetti e intagliatori (da cui il soprannome Margotta) -, da considerare il più eloquente interprete in scultura delle pulsioni eccentriche del primo manierismo fiorentino, alimentate da reviviscenze dell’espressionismo di Donatello, con esiti affini alla pittura visionaria del Rosso, si riconoscono nella postura lambiccata in accentuato contrapposto, con il polso della mano destra in forte torsione - quasi un omaggio al Buonarroti che ne aveva seguito con affetto i primi passi -, nelle proporzioni allungate del collo e nella inflessione patetica del volto, caratterizzato dall’ampiezza delle palpebre e dalle tumide labbra dischiuse, o, con più immediata evidenza, nel fitto, tormentato reticolo di creste angolose formato dal panneggio, che sembra incollarsi alla figura per poi ricadere in profonde pieghe ammaccate.
Aspetti che si riscontrano agevolmente nel giovanile San Giovannino gradivo oggi nel Museo Nazionale del Bargello, che torce il polso e punta l’indice della destra sulla coscia in modo identico, e soprattutto nel singolare gruppo marmoreo raffigurante la Madonna col Bambino e Sant’Anna scolpito nel 1522-26 per Orsanmichele, dove inoltre la Vergine reca un’acconciatura a ghirlanda di foggia affine e Sant’Anna assume una simile espressione languida; o ancora nel Sepolcro del Vescovo Angelo Marzi Medici all’Annunziata, del 1546, con la figura avviluppata in un dedalo di pieghe increspate.
La Flora, che, come osserva Ortenzi, ben si colloca accanto alle eleganze estenuate e capricciose di Rosso Fiorentino, contribuisce in modo assai significativo a fare luce sull’impegno del Margotta nella scultura in bronzo, sinora attestato solo dal vigoroso San Giovanni Battista eseguito nel 1535-38 per l’acquasantiera di Santa Maria delle Carceri a Prato (New York, Frick Collection) - utilmente confrontabile per la ricaduta del panneggio che forma una tasca sul retro delle gambe -, ma suggerito anche dalle “figure di bronzo” menzionate nel testamento redatto dallo scultore nel 1574 (A.P. Darr e R. Roisman, Francesco da Sangallo: a rediscovered early Donatellesque ‘Magdalen’ and two Wills from 1574 and 1576, in “The Burlington Magazine”, CXXIX, 1987, pp. 784-793, a p. 793).
G.G.