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Florence, 
wed 11 October 2017
Live auction 220
8

Girolamo Ticciati

€ 25.000 / 40.000
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Girolamo Ticciati

(Firenze, 1679 - 1745)

QUATTRO APOSTOLI

(San Giovanni Evangelista, San Filippo Minore, San Filippo Maggiore e un quarto non identificabile)

terracotta dipinta a tempera color bruno-rosa, cm 55x31 ciascuno, entro cornice in legno dorato

 

Queste quattro bellissime terrecotte a bassorilievo raffiguranti quattro Apostoli costituiscono un’importante aggiunta al corpus di opere di Girolamo Ticciati, protagonista in qualche modo eccentrico della scultura a Firenze nella prima metà del Settecento. L’attribuzione dei pezzi è stata suggerita e confermata dal confronto con i rilievi marmorei già incastonati nella balaustra circolare dell’altare maggiore del Battistero di Firenze e conservati oggi, a seguito del loro smantellamento nel 1912, nel Museo dell’Opera del Duomo. Dopo averli resi noti nel 2007 (Alessandra Giannotti, scheda in Jacopo Sansovino, Annibale Carracci ed altri contributi, Firenze 2007, pp. 93-101, cat. 10), Alessandra Giannotti ne ha più di recente precisato l’identificazione iconografica, ricollegando la serie ad un inedito San Pietro in collezione privata ed in precarie condizioni conservative (Alessandra Giannotti, Nuove opere del “celebre scultore” Girolamo Ticciati, in “Nuovi studi”, XXI/22, 2016, pp. 119-120). Le cinque terrecotte dovevano appartenere ad una serie completa dei dodici Apostoli, per la quale non è possibile indicare l’originaria destinazione. Non è impossibile, peraltro, che queste figure fossero state pensate da Ticciati in rapporto diretto con la sua maggiore impresa pubblica, i già citati rilievi per il Battistero di Firenze, realizzati tra il 1730 e il 1732. In entrambe le opere lo scultore fiorentino sperimentò un linguaggio in controtendenza rispetto al tardobarocco ancora in voga nella capitale del Granducato (sulla scia di quanto già prodotto da Giovan Battista Foggini, e di quanto ancora realizzava Massimiliano Soldani Benzi,), optando per “un recupero del classicismo quattro-cinquecentesco, fino a risalire alle semplificate rudezze compositive ed espressive del Trecento” (Giannotti, art cit. 2016, p. 119). L’architetto fiorentino Alessandro Galilei, a cui era stato richiesto un parere in merito alle trasformazioni in atto nel Battistero, si era raccomandato di “fare elezione d’un disegno puro, liscio e semplice” e di non “scherzare con linee curve, scartocci, grottesche” (Giulia Brunetti, I bassorilievi di Girolamo Ticciati per il coro e per l’altare maggiore del Battistero, in Kunst des Barock in der Toskana, München 1976, p. 182). In quella programmatica ripresa di stilemi arcaizzanti, che sembrano d’altra parte aprire al Neoclassicismo ancora di là da venire, Ticciati potrebbe aver attinto precisamente al precedente dell’altro recinto marmoreo del complesso della metropolitana fiorentina, ovvero quello del vicino Duomo, realizzato da Baccio Bandinelli e Giovanni Bandini tra il 1553 e il 1572: le figure di profeti e santi, non sempre di facile identificazione, stagliate di profilo in cartelle rettangolari del tutto simili a quelle delle terrecotte di Ticciati, sarebbero state il modello per lo scultore settecentesco (anche quel complesso venne poi in gran parte smantellato, e parte delle figure a rilievo si conservano oggi nello stesso Museo dell’Opera del Duomo, cfr. Francesca Petrucci, scheda in Baccio Bandinelli scultore e maestro 1493 – 1560, catalogo della mostra (Firenze, Museo Nazionale del Bargello) a cura di Detlef Heikamp e Beatrice Paolozzi Strozzi, Firenze 2014, pp. 316-319, cat. 23). D’altronde già la Brunetti riconosceva degli “accenti bandinelliani” nei rilievi marmorei con Storie del Battista (Brunetti, art. cit., 186-187). Gli Apostoli di Ticciati sarebbero cioè stati inizialmente pensati per intervallare le storie di carattere narrativo con protagonista il Battista, esattamente come i Profeti e i Santi cinquecenteschi del Duomo dovevano accostarsi a delle storie in bronzo mai eseguite. Per qualche ragione, però, la balaustra sarebbe stata poi eseguita in modo diverso, con un pur timido ricorso a quelle linee curve che Galilei aveva sconsigliato. D’altronde si era trattato di un cantiere certamente travagliato, che non aveva ricevuto un plauso unanime: un contemporaneo, Pietro Antonio Burgassi riferisce che l’opera era stata scoperta “senza averne ricevuto applauso e minima lode […] sono state fatte molte composizioni, sonetti e capitoli in biasimo e del lavoro e di chi ordinò” (Brunetti, art cit., p. 182). Quel carattere assolutamente insolito, all’altezza cronologica degli anni Trenta del Settecento, della temperatura stilistica dei rilievi di Ticciati, al pari di quella delle terrecotte qui presentate, deve oggi essere al contrario riconosciuto come il vertice della produzione dello scultore fiorentino.

 

A.B.