Margaritone d'Arezzo
(Arezzo 1240 circa – 1290)
SAN FRANCESCO D’ASSISI
tempera grassa su tavola, cm 71x29,5
Opera dichiarata di interesse culturale particolarmente importante dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Ufficio Esportazione di Roma, ai sensi del Decreto Legislativo 42/2004 del 24 dicembre 2013
Bibliografia di riferimento
G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti nelle redazioni del 1550 e 1568, ed. Rosanna Bettarini e Paola Barocchi, 6 voll. (Firenze, 1966-1987), 2, 1967, pp. 89-93Commento, a cura di P. Barocchi, II, 1, ibid. 1969, pp. 324-345R. Longhi, Giudizio sul Duecento, in “Proporzioni”, II, 1948, pp. 38 ss.A. M. Maetzke, Nuove ricerche su Margarito d’Arezzo, in “Bollettino d’arte”, LVIII, 1973, pp. 95-112M.G. Ciardi Dupré dal Poggetto, Introduzione, in I codici miniati dugenteschi nell’Archivio capitolare del duomo di Arezzo, a cura di R. Passalacqua, Firenze 1980, pp. 7 e ss.
L’interessante dipinto su tavola qui offerto spicca per rarità in quanto riconducibile alla mano del pittore aretino Margarito d’Arezzo, attivo nel XIII secolo nella sua città natale. È stato Vasari, suo conterraneo, a renderlo noto e a celebrarlo con il superlativo di “Margaritone” attribuendogli molte opere anche di scultura lignea e architettura, secondo una concezione rinascimentale di artista poliedrico. Tuttavia, in base agli studi più recenti, sappiamo che sono supposizioni senza fondamento.L’unico documento in cui Margaritone viene menzionato risale al 1262: «in claustro Sancti Michaelis coram Margarito pictore filio quondam Magnani» ed è conservato nell’Archivio dei monaci camaldolesi di Arezzo (Bettarini - Barocchi, 1969, p. 344).Il documento del 1262 appare molto interessante perché si fa riferimento alla sua professione di pittore, confermata anche dalla presenza della firma, “Margaritus de Aritio me fecit”, su molte tavole giunte fino a noi. Nelle tavole purtroppo sono quasi sempre assenti le date e questo ha portato inizialmente i critici (Garrison; Salmi; Ragghianti) a collocare le opere di Margaritone tra il 1260 e il 1290 ritendendolo quindi un tardo seguace del Maestro del Bigallo, che lavorò nella prima metà del Duecento. Vasari stesso, affermando erroneamente nella prima edizione delle Vite che l'artista moriva nel 1316, aveva alimentato questa tendenza a classificarlo come pittore “ritardatario”.Con Roberto Longhi è arrivata la prima rivalutazione dell’artista a cui ha fatto seguito una corretta anticipazione della cronologia entro la metà del Duecento; Longhi lo riteneva il più importante pittore aretino del tempo e lo definiva “un incantevole caposcuola della prima metà del secolo”, elogiandone la freschezza e l’originalità pittorica.In questo modo le caratteristiche più “arcaiche” della pittura di Margaritone non sono da interpretate come un segno di provincialismo ma piuttosto come tratti stilistici di un vero pioniere della storia dell’arte.Tra le poche opere datate di Margaritone va ricordata la Madonna in trono col Bambino e ai lati l’Annuncio a Gioacchino e due Santi dalla chiesa Santa Maria a Montelungo e oggi nel Museo Statale di Arte Medioevale e Moderna di Arezzo, firmata e tradizionalmente datata 1250 in virtù di un’iscrizione seicentesca, nella chiesa dove era collocata: “Dei perinsignis imago a Margaritone Aretino depicta MCCL”. Questa datazione è compatibile con le opere di Margaritone che hanno affinità stilistiche con quelle di pittori attivi alla metà del XIII secolo come appunto il fiorentino Maestro del Bigallo e il lucchese Bonaventura Berlinghieri. Questi pittori erano accomunati dalla rappresentazione di figure con linee di contorno pronunciate senza particolare interesse per gli effetti di volumetria, ma piuttosto per una resa iconica dei soggetti.Il dipinto qui presentato dipende direttamente da una delle tavole di Margaritone con l’immagine di San Francesco d’Assisi conservate al Museo d’Arte Medioevale e Moderna di Arezzo, in particolare quella proveniente dal Convento di Sargiano (fig. 1); l’altra, proveniente invece dalla chiesa di San Francesco a Ganghereto (Terranuova Bracciolini, fig. 2), è il prototipo di una produzione autografa e di bottega tra cui si ricordano le tavole conservate alla Pinacoteca Vaticana, alla Pinacoteca Civica di Castiglion Fiorentino, alla Pinacoteca Nazionale di Siena e nella chiesa di San Francesco di Ripa a Roma.Il San Francesco proveniente da Sargiano è ritenuto l’unico autografo di Margaritone dalla Maetzke (1973, p. 108) che considerava la tavola già a Ganghereto, e quelle da essa derivanti, delle repliche di bottega di fine Duecento; di parere diverso invece era la Ciardi (1980, p. 8) che riteneva invece autografo l’intero gruppo delle tavole citate.La tavola qui offerta ha un carattere di rarità in virtù della sua stretta dipendenza dal San Francesco di Sargiano, ripreso nel carattere ritrattistico del volto emaciato e dei grandi occhi infossati, nel disegno delle lumeggiature della veste, nell’effigie allungata del santo che ha un libro nella mano sinistra, mentre tiene la destra sollevata all’altezza del petto con il palmo a mostrare le stimmate. Con il prototipo di Sargiano il nostro San Francesco condivide altresì una medesima tipologia espressiva, la forma longilinea del corpo e delle mani, l’andamento delle pieghe del saio intorno al viso, sul petto, sulle maniche e nelle gambe, mostrando, senza dubbio, una maggior raffinatezza rispetto all’esemplare di Ganghereto. Si discosta invece dal quel modello essenzialmente per due elementi: l’assenza della punta del cappuccio, che non è visibile poiché nascosta dall’aureola, e per la presenza su quest’ultima di sei incavi che dovevano contenere delle pietre preziose (anche sulla copertina del libro è visibile una pietra incastonata).Non è al momento accertabile se l’aureola sia coeva all’esecuzione della figura oppure frutto di un intervento successivo della fine del secolo. Confrontando però il nostro dipinto con quello di Sargiano e con le altre varianti, nessuna delle quali presenta l’aureola con incavi di alloggiamenti per pietre, è possibile ritenere che si sia trattato di un’aggiunta posteriore volta a impreziosire l’opera.Rispetto alle tavole sopra menzionate del Museo d’Arte Medioevale e Moderna di Arezzo, la nostra ha dimensioni più ridotte; possiamo pensare che la sua collocazione originaria sia stata su un pilastro di una chiesa, proprio come i due esemplari del museo. La datazione proposta è intorno alla metà del Duecento.Si tratta di un’opera che riveste carattere di grande importanza, non solo perché riconducibile alla mano di un raro maestro ma anche per il soggetto che si attiene alla elaborazione e diffusione dell’immagine di San Francesco intorno alla metà del secolo XIII.L’iconografia del santo, morto nel 1226 e canonizzato nel 1228, si stava codificando infatti in quegli anni in particolare grazie all’opera del pittore Bonaventura Berlinghieri che nel 1235 realizzò una delle prime rappresentazioni pittoriche di Francesco (fig. 3). La tavola, conservata nella chiesa di San Francesco a Pescia, mostra l’immagine del santo in piedi, con il cappuccio intorno alla testa, la mano destra che sorregge un libro, mentre la sinistra è aperta in un gesto che indica la condivisione del messaggio evangelico.La tavola di Bonaventura Berlinghieri va ricordata per il suo carattere innovativo perché a questa rappresentazione iconica del santo si aggiungono, sulle fasce laterali, le storie della sua vita. Prima di questo esempio invece le storie erano illustrate in pannelli separati al di fuori della tavola. Bonaventura Berlinghieri, dunque, fonde nella sua opera l’aspetto sacro a quello più storico e divulgativo, ribadendo così la forza del messaggio francescano.