PIATTO, CASTELDURANTE O URBINO, 1520-1530 CIRCA
in maiolica dipinta a gran fuoco in blu cobalto, giallo antimonio, bistro e bruno di manganese; alt. cm 5,5, diam. cm 31,8, diam. piede cm 13
A PLATE, CASTELDURANTE OR URBINO, CIRCA 1520-1530
Provenienza
Parigi, Asta Druot-Richelieu, 4 maggio 1993, lotto 55;
Torino, collezione privata
Bibliografia di confronto
J. Rasmussen, Italian Majolica in the Robert Leheman Collection, New York 1989, pp. 100-101 n. 62;
F.A. Dreirer, J. Mallet, The Hockemeyer collection. Maiolica and Glass, 1998, pp. 230-231;
D. Thornton, T. Wilson, Italian Renaissance Ceramics. A catalogue of the British Museum Collection, Londra 2009, pp. 370-371 n. 217
Il piatto piano a tagliere, privo di cavetto, poggia su base apoda appena accennata, lo smalto è bianco crema e ricopre l’intera superficie. Il decoro a candelabra, con scudi, elmi e loriche collegati tra loro tramite nastri svolazzanti, è realizzato a risparmio, poi ombreggiato con mezzatinta grigia su fondo steso a pennellate parallele blu cobalto. Partendo dal basso, si notano due larghi elementi a cartiglio a forma di riccioli contrapposti, centrati da un elemento sferico, più in alto due grottesche dalle orecchie appuntite, le cui code si arricciano al centro aprendosi poi ai lati in cornucopie piene di frutta, incorniciando al centro un emblema con un’aquila monocipite su fondo giallo; nella parte superiore un mascherone con barba. Collane di perle cingono il collo delle grottesche collegandole alle cornucopie, mentre elementi fogliati e decori secondari completano l’ornato. Una sottile linea gialla marca l’orlo, mentre il retro non è decorato.
Una coppa conservata al Museo di Pesaro e databile al 1548, corredata dalla presenza di spartiti musicali (M. Moretti in P. Dal Poggetto, I Della Rovere: Piero della Francesca, Raffaello, Tiziano, Milano 2004, p. 485 scheda XV.28), si avvicina molto al nostro esemplare e ci fornisce un buon confronto, ma si presta ad una più approfondita chiave di lettura data la presenza di musica, mentre per il nostro esemplare è il motivo araldico-militare che sembra essere più importante. Una via di mezzo tra le due scelte decorative è rappresentata da una coppa con candelabra, trofei, stemma e spartiti musicali al Victoria and Albert Museum di Londra (inv. n. C2224-1910) (D. Chambers, J. Martineau, Splendours of the Gonzaga, London 1981, scheda n.198. J. Mallet attribuisce l’opera a Casteldurante o Urbino): l’emblema Gonzaga, con le aquile coronate su fondo argento, troneggia al centro della composizione, al di sopra di uno spartito musicale e circondato da grottesche: tale coppa, probabilmente urbinate, è databile al 1525.
Una recente ipotesi fa pensare che questo tipo di opere fosse prodotto anche nella città di Venezia, basandosi sul fatto che Cipriano Piccolpasso nel concludere "il terzo libro dell'arte del vasaio", lascia intendere che il decoro a candelabra avesse un suo buon mercato nella città veneta, dove erano comunque soliti operare emigrati da Casteldurante e Pesaro. Piccolpasso stesso peraltro, nel citare i trofei, ci dice che "si fano più per il Stato di Urbino che in altro luogo": il tema militare era infatti caro ai Montefeltro e ai Della Rovere.
Per questa tipologia di opere sono fondamentali gli studi di John Mallet, che stila un elenco di piatti che recano il medesimo stile decorativo (F.A. Dreirer, J. Mallet, The Hockemeyer collection. Maiolica and Glass, 1998, pp. 230-231), mentre per un’attribuzione a bottega urbinate, forse di Nicola da Urbino, si veda quanto detto da Rasmussen (J. Rasmussen, Italian Majolica in the Robert Leheman Collection, New York 1989, pp. 100-101 n. 62) e da Wilson e Thornton negli studi più recenti (T. Wilson, D. Thornton, Italian Renaissance Ceramics. A catalogue of the British Museum Collection, Londra 2009, pp. 370-371 n. 217).
Il piatto è transitato sul mercato nel 1993 con attribuzione a Casteldurante e riferimento all’analisi della termoluminescenza (Oxford 481 U73), di cui conserva traccia sul retro del piede. Nella scheda si proponeva una lettura dell’emblema come attribuibile al Montefeltro oppure, in base a un emblema simile, al Museo del Louvre, come emblema della Famiglia Sabatini di Rimini.
L’aquila mantiene le caratteristiche morfologiche di quella presente nell’emblema Montefeltro su campo oro: l'aquila araldica trasmette il significato di maestà, vittoria, potere sovrano. Una certa affinità con la monetazione, nella quale può comparire un’aquila singola, ci indirizza verso un campo di ricerca tutto da approfondire: interessante anche la suggestione che deriva dal fatto che nell’emblema dello stemma di Valente Valenti Gonzaga di Mantova e la moglie Violante Gambara di Brescia troneggino due aquile su fondo oro ad adornare, per concessione dei Marchesi Gonzaga nel 1518, il capo dello scudo, mutando cioè il campo di fondo da argento a oro (T. Wilson in R. Ausenda (a cura di), Musei e Gallerie di Milano. Museo d’Arti Applicate. Le ceramiche, I, Milano 2000, pp. 182-184 n. 193).
Interessante il confronto con un boccale del museo di Urbania datato 1558 con lo stesso emblema, a conferma dell’uso del decoro con l’aquila nel ducato di Urbino e in particolare a Casteldurante (C. Leonardi, La ceramica rinascimentale metaurense, Roma 1982, p. 68 fig. 51). E d’altra parte l’aquila su campo oro compare variamente associata in più emblemi araldici, non ultimo in quello di Guidobaldo II della Rovere (T. Wilson, The Golden Age of Italian Maiolica Painting. Catalogue of a Private collection, Torino 2018, pp. 326-329 n. 142) o nell’emblema della Famiglia Mazza (T. Wilson, op. cit. pp. 366-368 n. 163). Va comunque e più semplicemente considerato che l’emblema con l’aquila è presente già nella romanità come simbolo di comando e forse in questo caso l’aquila potrebbe essere letta in associazione con i trofei (G. Gerola, L’aquila bizantina e l’aquila imperiale a due teste, in “Felix Ravenna”, 1934, fasc. I, XLIII, pp. 7-39).