FURNITURE, PAINTINGS AND SCULPTURES: RESEARCH AND PASSION IN A FLORENTINE COLLECTION

Florence, 
wed 16 October 2019
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Scultore toscano attivo nella cerchia di Nino Pisano, fine secolo XIV-inizi XV

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Scultore toscano attivo nella cerchia di Nino Pisano, fine secolo XIV-inizi XV
MADONNA GIACENTE, DETTA “VERGINE DELLA NATIVITÀ”
scultura in legno dipinto e dorato, cm 25x150x40

Tuscan sculptor active in the circle of Nino Pisano, late 14th-early 15th century
RECLINING MADONNA, KNOWN AS “VERGINE DELLA NATIVITÀ” (VIRGIN OF THE NATIVITY)
gilt and polychromed wood sculpture, cm 25x150x40

L’immagine della Vergine Maria è qui presentata nella rara iconografia della ‘Puerpera’ diffusa in area Bizantina in cui Maria, presentata nella sua accezione ‘terrena’ votata ad esaltare l’aspetto umano del parto di Gesù, appare con il corpo disteso, avvolto fino alle gambe in una coperta o in un mantello e ritratta in atteggiamento contemplativo, con un braccio a sostenere il capo rivolto oltre il suo giaciglio, verso la figura del figlio in fasce, che in questa iconografia solitamente è riposto in una culla, al fianco o dietro alla Madre (T. Perez-Higuera, Puer nobis natus est. La Natività di Cristo nell'arte medievale, ed. italiana, Torino 1996; G. Drobot, La lettura delle icone: introduzione storico-teologica all'icona della Natività, [1975] ed. italiana, Bologna 2000).
Nella tradizione figurativa Occidentale tale iconografia, detta ‘Madonna della Natività’, si affermò a Nord delle Alpi intorno alla metà del Duecento, come dimostrano le immagini scolpite per il portale della cattedrale di Laon e nel jubé della Cattedrale di Chartres (G. Curzi, Statue da palcoscenicoLa Madonna della Natività di Assergi, in L'Abruzzo in età angioina. Arte di frontiera tra Medioevo e Rinascimento, Chieti 2004, Cinisello Balsamo 2005, pp. 125-146; W. Sauerlaender, Gothic Sculpture in France. 1140-1270, London 1972). In ambito italiano, trovò particolare diffusione tra Duecento e Trecento soprattutto in campo pittorico, si vedano le versioni negli affreschi romani di Pietro Cavallini, di Giotto o di Pietro Lorenzetti, oppure negli avori e nei lavori di oreficeria, mentre molto rara fu la sua diffusione in scultura, nonostante l’importante precedente costituito dalla Madonna della Natività di Arnolfo di Cambio scolpita per la facciata di Santa Maria del Fiore nei primissimi anni del XIV secolo.
Nel campo della scultura lignea rimangono solo alcuni rari, importanti esemplari, come quello databile tra il 1325 e il 1335 proveniente dal complesso monastico di Santa Chiara a Napoli, oggi nelle Gallerie di Capodimonte (già Museo della Certosa di San Martino), realizzata da un ignoto maestro nel quale la critica ha colto riferimenti alle sculture orvietane del senese Lorenzo Maitani coniugate ad una finezza decorativa di matrice francese (G. Curzi, Op. cit.; F. Bologna, R. Causa, Sculture lignee della Campania, Napoli 1950, pp. 89-90, n. 31). Altre opere analoghe si conservano in provincia dell’Aquila nella chiesa di Santa Maria Assunta di Assergi (XIV secolo) e in quella di Tossicia (inizio XV secolo) (G. Curzi, Op. cit.), presso le collezioni di scultura di Palazzo Venezia (opera castigliana dei primi anni del XV secolo) mentre la versione più significativa, attribuibile all’anonimo Maestro di Fossa con una datazione al 1340, si trova a Tolentino nel Museo della Basilica di San Nicola (E. Neri Lusanna, Il gruppo ligneo della natività di San Nicola a Tolentino e la scultura marchigiana, in Arte e spiritualità negli ordini mendicanti. Gli Agostiniani e il Cappellone di San Nicola a Tolentino, atti del Convegno di Tolentino, 1990, Roma 1992, pp. 105-124, in part. p. 107). Quest’ultimo è particolarmente rilevante perché dimostra come anche la nostra scultura in origine avrebbe potuto comporre insieme ad altre figure, sicuramente il San Giuseppe e il Gesùavvolto in fasce ai piedi del giaciglio della Vergine, una suggestiva scenografia sacra destinata alla cappella di una congregazione religiosa o di un oratorio dove si celebravano cerimonie o festività dedicate alla Madonna del parto o a devozioni affini.
Da un punto di vista stilistico l’opera non trova legami con gli esemplari citati e con il contesto della scultura italiana centro-meridionale o di area adriatica. La nostra Vergine presenta delle forme anatomiche molto longilinee, finanche sinuose e bombate nel peculiare inarcamento della vita quasi a simulare l’aggetto tondeggiante del ventre, un’articolazione del corpo leggiadra, longilinea e sciolta, di un’eleganza quasi tardogotica come suggerirebbe il panneggio sottile delle vesti animate da solchi profondi e tesi ma anche da eleganti plissettature e risvolti. Tali elementi lasciano trapelare la mano di un artista attivo a cavallo tra XIV e XV secolo in area pisano-lucchese sulla scia della forte lezione lasciata dalla bottega di Nino Pisano ma ormai in qualche modo svincolato dalla solidità volumetrica delle composizione del maestro. Il modo di intagliare gli abiti della Vergine, dalle fini bordure risvoltate trova dei riscontri in alcune opere di Nino degli anni Sessanta, soprattutto nella Madonna col Bambino della chiesa di San Nicola di Pisa, nel ductus della veste aperta sul petto in pieghe morbide e sventolanti, o nell’Annunciata del Victoria and Albert Museum di Londra (dal Duomo di Pisa), per la morbida effusione degli abiti ormai quasi del tutto affrancato dalle rigide falcate gotiche e dalla salda impostazione delle opere strettamente autografe.
Confronti più stringenti possono estendersi ad alcune statue lignee del seguito di Nino Pisano, come la figura dell’Arcangelo nell’Annunciazione di Ghizzano Peccioli datato intorno agli anni settanta del Trecento e ricondotto alla mano di Tommaso Pisano (M. G. Burresi, in Andrea, Nino e Tommaso scultori pisani, catalogo della mostra di Pontedera e Pisa, a cura di M. G. Burresi, Pisa 1983, pp. 167, 191-192, n. 48; M. G. Burresi, Una folla pensosa e cortese. Sculture note e inedite di Francesco di Valdambrino, del Maestro di Montefoscoli e di altri, in Sacre passioni: scultura lignea a Pisa dal XII al XV secolo, pp. 196-227). Il panneggiare e l’anatomia di questa statua sembrano accostarsi fortemente alla Vergine in esame, presentando un medesimo, leggero inarcamento del busto di sapore ancora gotico e una modellazione delle vesti affine nell’articolazione degli ondulati e appiattiti risvolti, oltre che un’analoga concezione volumetrica ed assorta del volto. Caratteristica quest’ultima che trova elementi di confronto anche con l’Annunciata del Museo di San Matteo a Pisa opera di un anonimo scultore toscano a cavallo tra i due secoli, che nelle forme e nella definizione del volto dall’ovale fortemente allungato e dagli occhi ieratici dalla forma a mandorla caratterizzata da contorni molto netti, si imparenta con la nostra Vergine confermandone una cronologia ormai a ridosso del Quattrocento.

G.G. – D.L.