FURNITURE, PAINTINGS AND SCULPTURES: RESEARCH AND PASSION IN A FLORENTINE COLLECTION

Florence, 
wed 16 October 2019
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Scultore tosco-romano attivo nella cerchia del ‘Maestro di Pio II’, seconda metà del sec. XV

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Scultore tosco-romano attivo nella cerchia del ‘Maestro di Pio II’, seconda metà del sec. XV
ALLEGORIA DELLA CARITÀ
gruppo scultoreo in marmo bianco, cm 72x67x37

Tuscan-Roman sculptor active in the circle of the ‘Maestro di Pio II’, second half of the 15th century
ALLEGORY OF CHARITY
white marble group, cm 72x67x37

Bibliografia
Centro Studi Piero della Francesca, Sculture antiche dal II secolo a. C. al XV, catalogo della mostra (Milano, Abbazia di S. Maria di Chiaravalle, 15 giugno - 15 luglio 1969), Milano 1969, n. XIV

Questo affascinante gruppo scultoreo di spiccata intonazione archeologica ritrae una giovane donna, purtroppo oggi acefala, abbigliata in una lunga tunica all’antica, sottilmente intagliata e cinta appena sotto il petto da un esile cordino, accompagnata da un vezzoso e vivace Bambino - privato nel corso dei secoli del sesso vistosamente scalpellato - protratto con il braccio a stringerle il seno e coperto solo dalla cappa svolazzante di una mantella appuntata al collo. Sull’altro lato la donna poggia la sua mano sulla testa consunta di un grifo, mutilo delle zampe anteriori, originariamente distese fino a terra a protezione di un volatile ancora oggi visibile nell’incavo del marmo, allusione verosimile alla duplice natura terrena e celeste di questo animale mitologico che ben si adattava all’immaginario Cristiano, come ricordato anche da Isidoro di Siviglia, secondo cui  i grifi "custodiscono sempre le strade della salvazione" e "tutti gli accessi all'immortalità". 
Il gruppo, nella sua veste iconografica che potremmo associare ad un'Allegoria della Carità, risulta del tutto pertinente con il suo originario concepimento quale elemento di una fontana pubblica, come d’altra parte dimostra l’inserto idraulico oggi sporgente, ma un tempo quasi integralmente celato, dalla testa del grifo. L’incasso rettangolare sulla coscia del Bambino, realizzato per ospitare un perno di aggancio, lascerebbe supporre una sua disposizione ad affiancare una vasca o un'altra raffigurazione allegorica sul fronte di una balaustra.
Da un punto di vista stilistico l’opera risalta per la vocazione archeologica che la mette in stretta relazione con il clima culturale promosso a Roma tra il sesto e l’ottavo decennio del Quattrocento sotto i pontificati di Niccolò V (1447-1455), Pio II (1458-1464) e Paolo II (1464-1471), contraddistinto in campo artistico da un appassionato studio delle antichità, dal frenetico collezionismo e da uno spirito di rinnovamento dell’iconografia papale inspirata ai fasti imperiali, che guidarono la decorazione dei principali edifici di culto e i palazzi papali dell’Urbe. Il maggiore interprete di questa tendenza fu lo scultore Paolo Taccone da Sezze detto Paolo Romano, in virtù anche del suo ruolo come restauratore e ‘falsificatore’ di antichità, ma al suo fianco si distinsero altre importanti personalità di varia provenienza, tra cui Giovanni Dalmata, Mino da Fiesole, Isaia da Pisa e l’anonimo scultore noto con il nome convenzionale di “Maestro di Pio II” per via della sua abbondante partecipazione negli anni sessanta insieme a Paolo Romano al monumento funebre del Pontefice oggi in Sant’Andre della Valle a Roma (C. La Bella, Isaia da Pisa, Mino da Fiesole e gli scultori toscani, in Il Quattrocento a Roma, catalogo della mostra di Roma, Roma 2008, pp. 197-201, con bibliografia precedente).
Nell’opera in esame la componente fermamente classicista e antiquariale di Paolo Romano e quella spiccatamente minesca, si stemperano in un linguaggio più fluido che trova dei riferimenti nelle opere riconducibili al ‘Maestro di Pio II’, come le statue delle nicchie del Monumento Piccolomini, come alcune tipologie di panneggio nelle figure angeliche dell’ Ancona dell’Abate Gregorio VI a Roma in San Gregorio al Celio o nel tabernacolo eucaristico in Santa Maria Assunta a Monteflavio (F. Caglioti, Paolo Romano, Mino da Fiesole e il tabernacolo di San Lorenzo in Damaso, in "Prospettiva", 53/56, Scritti in ricordo di Giovanni Previtali: Volume I (Aprile 1988 -Gennaio 1989), pp. 245-255: F. Caglioti, Su Isaia da Pisa. Due ‘angeli reggicandelabro’ in Santa Sabina all’Aventino e l’altare eucaristico del Cardinal d’Estouville per Santa Maria Maggiore, in “Prospettiva”, 89-90, 1998, pp. 125-160). Altre connessioni possono ritrovarsi nella Vergine col Bambino marmorea riconosciuta al maestro in occasione del recente passaggio sul mercato internazionale, in  cui la morbida e vaporosa modulazione dei capelli di Maria appare del tutto analoga a quella del nostro Bambino (Salvatore e Francesco Romano antiquari a Firenze. A Century as antique dealers at Palazzo Magnani Feroni, casa d’Aste Sotheby’s, Firenze,12-15 ottobre 2009, n. 54).
Si tratta di una variante del celebre modello mariano, detto ‘di casa Piccolomini’, che fu coniato nella bottega senese di Donatello (1457-1461) e in seguito replicato da suoi collaboratori e seguaci attivi tra Roma, Firenze e la stessa Siena, di cui un esemplare con stemma Chigi già in collezione Pannwitz (Bennebroek, Olanda) è stato riconosciuto in un’opera autografa del ‘Maestro di Pio II’ (F. Negri Arnoldi, Sul Maestro della Madonna Piccolomini, in "Commentari", XIV, 1963, pp. 8–16; G. Gentilini, Maestro della Madonna Piccolomini, in Collezione Chigi-Saracini. La Scultura. Bozzetti in terracotta, piccoli marmi e altre sculture dal XIV al XX secolo, a cura di G. Gentilini, C. Sisi, Firenze, 1989, pp. 80-97; F. Caglioti, in Da Jacopo della Quercia a Donatello. Le Arti a Siena nel primo Rinascimento, catalogo della mostra di Siena, a cura di M. Seidel, Milano 2010, n. pp. 348-353, n. D.21).
Per tali affinità sentiamo di poter ricondurre la paternità del gruppo in esame alla mano di uno scultore che fu attivo nella bottega del ‘Maestro di Pio II’ e nello stretto giro della committenza senese-romana promossa dalla famiglia Piccolomini. L’indirizzo senesizzante registrabile nell’opera dell’anonimo maestro si può ritrovare anche nella nostra scultura che reca una citazione diretta dalla statua dell’Acca Larenzia scolpita da Jacopo della Quercia tra il 1414 e il 1419 per la Fonte Gaia di Siena, in cui uno dei due bambini risulta del tutto analogo al nostro nella concezione posturale, con la gambina sollevata, il corpo leggermene inarcato all’indietro, la testa reclinata con la medesima angolazione e una mano protesa verso l’alto.


G.G. – D.L.