MARIA LAI
(Ulassai 1919 - Cardedu 2013)
Senza titolo
1979
quaderno ricamato con fili
cm 18x24 circa
al retro firmato e datato "Lai '79"
Untitled
1979
notebook of threads
18x24 cm c.a.
on the reverse signed and dated "Lai 79"
[…] Le mani non stanno mai ferme: disegnano, cuciono, modellano. La sua casa è il viaggio, il viaggio è la casa dell’umanità. Maria Lai (1919) è bambina e disegna sulle pareti domestiche, incessantemente. Poi le pareti vengono imbiancate affinché, una volta asciutte, continui a disegnare. Gioca coi fili, li fa cadere a terra e li guarda.
“Giocavo con grande serietà, a un certo punto i miei giochi li hanno chiamati arte”, ha raccontato.
Il percorso di questa figura singolare – della quale dicevano avesse le “mani da uomo” tanto il suo segno era deciso ed essenziale - comprende simultaneamente tradizione e neoavanguardia, famiglia e ribellione, concettualità e artigianalità . Le sue visioni si sviluppano su una memoria individuale generata da una ritualità collettiva, antropologica. Il suo orientamento è istintivo, sicuro, senza errore. Le pietre della Sardegna, il vento, le leggende, le donne al lavoro, le capre, i folletti, gli spiritelli, le Janas, il mare, sono i tasselli del suo universo. Maria sperimenta tutti i linguaggi possibili, creando un lessico personale e intimo. Attraversa l’essenzialità nella figurazione, l’astratto, la scultura, (che il suo maestro d’accademia, Arturo Martini, considerava lingua morta), l’installazione e l’happening. E ogni volta cerca di mettere la storia in movimento. “Ogni opera nasce da un’altra opera – afferma - non viene dal nulla”. […]
[…] Verso la metà degli anni Settanta, le donne del movimento femminista guardano a lei con vivo interesse, per l’uso sovversivo che fa degli strumenti legati da sempre al lavoro domestico. Per la sua scelta di solitudine e dedizione all’arte e perché, nella sua opera, il cucito non è un’attività tranquillizzante che comprime socialmente la vitalità femminile, è uno strumento di apertura, liberazione, incompiutezza. I fili non disegnano forme chiuse e finite, ma cadono dalla tela o dalla stoffa, sono imprevedibili, non hanno né principio né fine, ciondolano come capelli sovrumani arrivati da altri mondi. E i telai per tessere diventano sculture, macchine inutilizzabili, strumenti impossibili. La loro funzione è annullata, nessuna azione meccanica può più essere compiuta.[…]
[…] Verso la fine degli anni Settanta, nascono i libri di stoffa o di carta con le parole dai significati inafferrabili cucite sopra. Alcuni sono illustrati, senza scritte, altri, i Libri scalpo, hanno fili che cascano giù dalle pagine come capigliature scarmigliate. Maria Pietra, Tenendo per mano l’Ombra, Il Dio distratto … richiedono forme di lettura nuove e raccontano favole che riflettono la natura umana in rapporto alla magia della vita. Ma l’arte, ci chiediamo, è comprensibile a tutti? Maria Lai ritiene che il pubblico sia pronto a comprendere. “L’interpretazione – scrive – non è un impegno a conoscere i significati in un’opera. L’opera d’arte non è un oggetto di indagine scientifica, ma la possibilità di contatto con l’universale. Il contatto deve essere però diretto e individuale, non come atto mentale, ma attraverso il corpo, la materia”. L’accettazione delle ombre dell’esistenza, l’uso etico del potere creativo dell’artista e la consapevolezza della sacralità della propria e altrui vita, sono i punti fermi delle sue storie. Tra queste storie ci sono quelle delle Janas, le fate operose e minute la cui vaga origine risale a una popolazione sarda del neolitico. Secondo l’artista, che le ritrae con fili d’oro e d’argento, le Janas sono nate da uno sciame di api per insegnare alle donne sarde a filare. E forse anche Maria è una Janas venuta per insegnare alle donne del pianeta a tessere i loro sogni anziché i loro bisogni
Manuela Gandini ,Tracce di un dio distratto, 7 febbraio/27 aprile 2013, Nuova Galleria Morone - Milano