ALBARELLO, PESARO, 1470-1480 CIRCA
in maiolica decorata in policromia con verderame, giallo e giallo arancio, bruno di manganese nei toni del viola e del nero blu di cobalto; alt. cm 21,3, diam. base cm 8,9, diam. bocca cm 9,7
A PHARMACY JAR (ALBARELLO), PESARO, CIRCA 1470-1480
Bibliografia di confronto
J. Giacomotti, Catalogue des majoliques des musées nationaux, Parigi 1974, pp. 160-161 n. 528;
C. Conti (a cura di), Nobilissime ignobiltà della maiolica istoriata, Faenza 1992;
M. Moretti in A. Ciaroni, Maioliche del Quattrocento a Pesaro, frammenti di storia dell’arte ceramica dalla bottega dei Fedeli, Firenze 2004, pp. 56-87;
A. Levy (a cura di), Sesso nel Rinascimento. Pratica, perversione e punizione nell’Italia Rinascimentale, Firenze 2009, in particolare il saggio di C. Hess, Piacere, vergogna e guarigione: immagini erotiche nella maiolica del Sedicesimo secolo, pp. 17-27
Il contenitore apotecario ha forma cilindrica, corpo appena rastremato al centro, spalla arrotondata e piede su base piana. Reca sul fronte una raffigurazione istoriata di carattere erotico, con una giovane fanciulla seduta che sceglie “un frutto” in un cesto contenente tra le foglie alcuni falli; in alto un cartiglio delineato a caratteri capitali recita “AIBO.FRUTI. DONE”. Il retro del vaso è interessato da alcune foglie accartocciate associate al decoro “a pavona”.
Se il decoro secondario trova riscontro nei frammenti dagli sterri nella città di Pesaro, anche alcune caratteristiche stilistiche nella resa della figura, come ad esempio l’ombreggiatura del volto, o del paesaggio, e si veda la presenza di ciuffi d’erba a ventaglio o delle nuvolette minute e arricciate nel cielo, ci conducono ad una probabile attribuzione alla città di Pesaro.
Un piatto conservato al Museo del Louvre (inv. n. OA 1256) con un decoro analogo, ma associato a una forma decorativa accessoria a lustro, più affine alla produzione di Deruta, ci fornisce un riscontro su come questo genere decorativo fosse trasversale all’interno delle manifatture.
La recente pubblicazione di Catherine Hess fornisce una lettura della scena e della sua finalità su un contenitore apotecario, rammentando l’intento comico di certe scene, tra le quali colloca proprio in questo soggetto del nostro albarello, ricordando come “l’umorismo, per quanto diffuso, è spesso determinato dal grado di cultura”. Ecco dunque che interpretando la scritta «Ai bon fruti, done» come il richiamo di un venditore ambulante si giunge a un chiaro richiamo a un fabliau francese del XIII secolo: la favola narra di come una donna, addormentata nel letto coniugale, sogni di visitare un mercato in cui si vendono genitali maschili e acquistare l’esemplare più grande; una volta sveglia rimarrà soltanto la delusione, che consolerà comunque con il marito. Al riguardo è doveroso un distinguo sull’uso di soggetti erotici in maiolica prima e dopo la Controriforma, al cui riguardo un esempio ci deriva dalla vicenda dei disegni originali di Giulio Romano, copiati da Marcantonio Raimondi che ne realizzò delle incisioni poi inserite nei Sonetti lussuriosi di Pietro Aretino sotto il papato di papa Clemente VII, con conseguenze nefaste sia per le incisioni sia per l’incisore stesso. Ciò non impedì che il contenuto esplicitamente sessuale di queste scene fosse comunque utilizzato, spesso in modo dissimulato, su opere in maiolica. La maggior presenza di scene erotiche su vasellame farmaceutico si spiegherebbe con una lettura delle stesse a fine apotropaico, quasi a rafforzare e accompagnare l’effetto del farmaco contenuto nel vasellame farmaceutico.