A SHALLOW BOWL, DERUTA, 1532
COPPA, DERUTA, 1532
in maiolica dipinta in verde, giallo giallo arancio blu di cobalto. Sul retro marca P paraffata in blu di cobalto; diam. cm 21,4, diam. piede cm 9,4, alt. cm 3,5
Bibliografia di confronto
B. Rackham, Islamic Pottery and Italian Maiolica. Illustrated Catalogue of a Private Collection, Londra 1959, p. 106 n. 382, tav. 170B;
T. Hausmann, Majolika. Spanische und italienische Keramik vom 14. bis zum 18. Jahrhundert, Berlino 1972, pp. 201-203 n. 151;
A.V.B. Norman, Wallace Collection Catalogue of Ceramics 1: Pottery, Maiolica, Faience, Stoneware, Londra 1976, pp. 91-94 nn. C37-C38;
C. Fiocco, G. Gherardi, Alcuni spunti per futuri studi: il servizio G_A e la serie del Lavare il capo all’asino. Una targa della collezione Cora attribuibile alla bottega del Frate da Deruta, in "Faenza", LXX, 1984, 5-6, pp. 403-416;
C. Fiocco, G. Gherardi, Ceramiche umbre dal Medioevo allo Storicismo. Parte prima: Orvieto e Deruta, Faenza 1988, pp. 128-129 fig. 79;
C. Fiocco, G. Gherardi (a cura di), La ceramica di Deruta, Perugia 1994, p. 273 n. 170
La coppa presenta cavetto concavo con tesa alta e terminante in orlo sottile e arrotondato, mentre la larga tesa è appena inclinata e poggia su un alto piede a orlo estroflesso. Il decoro policromo, che ricopre l’intera superficie, si basa su un motivo a grottesche che si sviluppa in una candelabra centrale con base a mascherone e terminante in un braciere ardente, affiancata nella parte mediana da due draghi simmetrici contrapposti, dalle cui fauci escono due cornucopie sinuose ricolme di frutta e una catenella con perle bicolore. Intorno, a completare la decorazione, alcuni trofei e un tendaggio. Tra i trofei in alto entro un cartiglio si legge in caratteri corsivi ano domini/ 1532. Al verso un orlo definito da sottili archetti blu e una marca a P paraffata.
Il decoro a grottesche e a candelabra interessa trasversalmente tutte le produzioni ceramiche dell’Italia centrale agli inizi del Cinquecento. Coppe di questa foggia, e con simili esiti decorativi, venivano genericamente attribuite alla produzione di Casteldurante, per poi trovare, con il progredire degli studi, diverse e più precise collocazioni. Ricordiamo in proposito la prima proposta di Rackham di assegnare alla bottega Mancini i piatti che sul retro portavano la lettera M paraffata. L’attribuzione alla città umbra di Deruta è ormai generalmente accettata, con i doverosi distinguo, anche in base confronti stilistici, considerando la recente rilettura di opere simili da parte di Franco Cocchi e Giulio Busti, che ipotizzano un coinvolgimento del “Frate” nella bottega dello zio Nicola Francioli, ma soprattutto la diffusione delle loro proposte decorative anche delle botteghe nel territorio limitrofo.
Questo ci indirizza nell’attribuzione della coppa alle botteghe di Nicola Francioli e di Giacomo Mancini, nella consapevolezza che, spesso, le marche con lettere paraffate, sono da ascrivere all’ambito della bottega e non a singoli pittori, in virtù della lunga durata dell’attività, documentata nell'arco di due secoli. La coppa trova infatti alcuni utili confronti in ambito derutese, non ultimo quello con i piatti del cosiddetto servizio “GA” decorato a grottesche in policromia con uno stile rapido e colorato, ma anche in opere a lustro, come il grande piatto recentemente aggiunto alle collezioni del Museo di Deruta nel quale l’ornato mostra il caratteristico mascherone con lunga barba e ricche cornucopie. Il confronto, inevitabile, con opere prestigiose della prima bottega derutese di Francioli, come il piatto del Victoria and Albert Museum, soddisfa solo e unicamente per la grafia della scritta, con il quale ha qualche affinità. Più interessante invece il confronto con opere più prossime agli anni trenta del Cinquecento, che ci fornisce qualche spunto di riflessione. La coppa della bottega Mancini con scena di corteggiamento della Wallace Collection (IIIC133) condivide con la nostra la forma, la policromia e soprattutto la materia spessa e crettata nello smalto, oltre al decoro semplificato redatto in blu sul retro lungo l’orlo e attorno al piede, nonché una lettera paraffata, probabilmente una S. Tuttavia il confronto più pertinente si può effettuare con una scodella da impagliata del Kunstgewerbemuseum di Berlino (inv. 11,40) decorata a candelabra in blu e blu pallido, che mostra caratteristiche stilistiche molto pertinenti: le figure ricavate a risparmio sul fondo blu, il decoro a piccoli punti sul corpo degli animali, in questo caso pavoni, i grossi frutti che emergono da una fruttiera centrale e un decoro veloce, anche se qui più complesso, al verso.