A PLATE (TAGLIERE), URBINO, WORKSHOP OF GUIDO DURANTINO, CIRCA 1559-1574
TAGLIERE, URBINO, BOTTEGA DI GUIDO DURANTINO, 1559-1574 CIRCA
in maiolica dipinta in policromia con bruno di manganese, verde ramina, blu di cobalto, giallo e giallo arancio. Sotto il piede in caratteri corsivi in blu di cobalto l'iscrizione Orfeo cantando; diam. cm 23,2, diam. piede cm 8,7, alt. cm 2,8
Bibliografia di confronto
G.C. Polidori, Orazio Fontana e le sue maioliche nei Musei Civici di Pesaro, Bollettino D’arte, 1959, p. 144;
C. Ravanelli Guidotti, Ceramiche occidentali del Museo Civico Medievale di Bologna, Bologna1985, pp.158-160 nn.118-119;
E. Ivanova, Il secolo d’oro della maiolica. Ceramica italiana dei secoli XV-XVI dalla raccolta del Museo Statale dell’Ermitage, Faenza 2003, p. 86 n. 57 e p. 102 n. 81
Il piatto presenta cavetto largo, ampia tesa appena obliqua, e poggia su basso piede ad anello. Il fronte è interamente decorato da una scena istoriata che raffigura Orfeo che incanta gli animali. Il protagonista è al centro della scena, alla quale fanno da quinta due coppie di sottili alberelli a delimitare un ampio paesaggio lacustre con alcuni paesi e piccole città che s’intravvedono conto il profilo dei monti al crepuscolo. Orfeo cammina suonando la lira da braccio, mentre gli animali lo circondano affascinati dalla sua musica. Gli animali sono di varie specie e comprendono animali selvatici e esotici come il leone, qui seduto accanto a un orso un lupo e un cervo, e animali domestici come gli armenti, sulla sinistra, accompagnati da animali fantastici come il drago accucciato ai sui piedi, insieme a serpi, lumache, tartarughe e rospi. Al verso tre linee gialle concentriche a sottolineare l’orlo e il piede, al centro del quale si legge in caratteri corsivi dipinti in blu di cobalto Orfeo cantando.
Spesso raffigurato in maiolica, il mito di Orfeo trova probabilmente spunto dalle incisioni delle edizioni a stampa della pria metà del Cinquecento. Il pittore è capace, padrone della materia che utilizza con sapienza, sovrapponendo i colori e realizzando con abilità sia le lumeggiature in bianco di stagno che le ombreggiature con bistro diluito, come ad esempio sul mantello che ricopre le spalle di Orfeo. Il piatto appartiene alle opere della bottega dei Fontana, forse di mano già di Orazio Fontana, o comunque di uno dei pittori che hanno dato vita alla produzione di opere di simile qualità stilistica come ad esempio il piatto con ratto di Europa dell’Ermitage di San Pietroburgo o quello con Mosè che accoglie le tavole della legge conservato presso lo stesso museo. Si tratta probabilmente di un’opera del pittore cosiddetto del servizio Carafa, così definito da Johanna Lessmann facendo riferimento a opere stilisticamente coerenti che recano l’emblema della famiglia napoletana Carafa. Ci sembra infatti di ravvisare una vicinanza con i piatti del Museo Medievale di Bologna, uno con i tre fanciulli ebrei bruciati nella fornace e l’altro con Peleo e Teti, entrambi appartenenti appunto a detto servizio.
Un altro confronto a nostro parere pertinente soprattutto per la resa del paesaggio di sfondo, ma anche per l’uso di sottili tratti a lumeggiare in cromie differenti, il volto e i dettagli delle ombre, ci viene da una coppa con la sfida tra Apollo e Pan del museo di Pesaro, a suo tempo attribuito dal Polidori alla mano di Orazio Fontana, che a noi pare opera di uno dei sapienti pittori della sua bottega attorno alla metà del Cinquecento.