A PLATE (TONDINO), DERUTA, CIRCA 1520
TONDINO, DERUTA, 1520 CIRCA
in maiolica dipinta in policromia blu di cobalto, giallo, giallo arancio e bianco di stagno; diam. cm 24,2, diam. piede cm 8,8, alt. cm 12,6
Biliografia di confronto
T. Wilson, Ashmolean Museum of Art and Archaeology, Oxford 2017, p. 110 n. 46;
T. Wilson, The Golden Age of Italian Maiolica Painting. Catalogue of a private collection, Torino 2018, pp. 56-59 nn. 16-17
Il tondino presenta cavetto profondo a larga tesa piana con orlo arrotondato. Il decoro vede, al centro del cavetto, un ritratto maschile rivolto a destra con il capo coperto da un fazzoletto annodato sulla nuca da cui escono alcuni boccoli biondi, mentre il corpo appena visibile è coperto da una tunica; lo sfondo è ombreggiato di cobalto, mentre il tondo che racchiude la figura è delimitato da un motivo decorativo a corda, cui si sovrappone una fascia ad archetti delineati in giallo arancio e giallo accompagnati da sottilissimi fioretti blu. La balza è lasciata bianca con uno smalto un po' rosato e crettato, mentre la tesa è interessata da un fitto motivo a embricazioni redatte in blu cobalto, ombreggiate a tratti su un lato e centrate da un motivo puntinato giallo che spicca sul fondo campito in giallo arancio; l’orlo infine è ornato con più elementi a corda, prima più spessa e poi sottile, e quindi orlato di giallo. Al verso un classico motivo a petal back, con il piede lasciato bianco.
Lo studio del gruppo di piatti petal back associati o meno a monogrammi o lettere fu iniziato da Bernard Rackham nel 1915 con un'iniziale attribuzione alle botteghe di Deruta. In opposizione a Rackham, Otto Von Falke sosteneva invece l’attribuzione di questo gruppo alla bottega di maestro Benedetto di Siena, ipotesi sposata dagli studiosi per lungo tempo. La scoperta di resti di fornace e la pubblicazione dei frammenti nella città umbra sembra però aver risolto l’annosa questione, nonostante evidenze produttive nell’area che dalla città umbra porta a Siena, chiaramente spiegabili con il permanere di pittori derutesi nella città toscana, che spesso accolse maestranze straniere.
Due confronti appartenenti ad un'importante collezione privata ci sembrano molto pertinenti sono stati recentemente pubblicati da Timothy Wilson, alla cui scheda rimandiamo per approfondimento e bibliografia. Ma anche l'inevitabile confronto con il magnifico piatto dell’Ashmolean Museum di Oxford con emblema Piccolomini, che presenta una tesa con decoro simile al nostro, ma invero più accurato, rafforza a nostro avviso l'attribuzione a Deruta.