A LARGE COAT OF ARMS PLATE, URBINO, PATANAZZI WORKSHOP, LATE 16TH CENTURY
GRANDE PIATTO STEMMATO, URBINO, BOTTEGA PATANAZZI, FINE SECOLO XVI
in maiolica dipinta in blu di cobalto, giallo antimonio e verde ramina con tocchi di bruno di manganese e bianco di stagno; diam. cm 43,6, diam. piede cm 14,7, alt. cm 7,6
Comparative literature
J. Lessmannm, Herzog Anton Ulrich-Museum Braunschweig. Italienische Majolika. Katalog der Sammlung, Braunschweig 1979, p. 237 n. 254;
F. Trevisani (a cura di), Le ceramiche dei Duchi D’este. Dalla guardaroba al collezionismo, Milano 2000;
Thornton, T. Wilson, Italian Renaissance ceramics. A catalogue of the British Museum collection, London 2009, n. 242, fig. 242;
D. Thornton, A Rothschild Renaissance: Treasures from the Waddesdon Bequest, London 2015, pp. 156-161;
I. Enciso Alonso-Muñumer, Fernando Ruiz de Castro, ad vocem, DBE, http://dbe.rah.es/biografias/15089/fernando-ruiz-de-castro (web)
Il piatto ha cavetto profondo e largo, tesa obliqua e poggia su fondo a cercine. Il decoro realizzato a piena policromia presenta evidenti difetti di cottura su tutta la superficie. La rappresentazione istoriata interessa il cavetto con la raffigurazione del Parnaso da Raffaello Sanzio, uno dei soggetti più richieste dalle committenze, dove Apollo è seduto all’interno di un bosco di alloro e guida le Muse con il suono della lira da gamba. L’opera si basa sulla nota incisione di Marcantonio Raimondi (Bartsch XIV, p. 264 n. 350/B), citata dal Vasari, che descrive il progetto originario del pittore urbinate, riflettendo alcune differenze con l’affresco poi realizzato: le Muse sono qui disposte dal pittore, con i loro magici strumenti insieme a putti volanti, a circondare Apollo in un semicerchio ideale; in basso, a terminare la composizione, spiccano alcuni strumenti e spartiti musicali, secondo le incisioni. La tesa è decorata con un fitto ornato a grottesche in una versione a figure grandi, nella quale sono inseriti Erotini svolazzanti tra figure fantastiche, piccoli uccelli e leoncini e in basso un cammeo con due figurine romane a risparmio su fondo bruno. In alto al centro campeggia un emblema araldico sormontato da un angelo che sostiene una corona marchionale. Le armi sono quelle di uno dei grandi di Spagna, Fernando Ruiz de Castro, e incorporano quelle della moglie Doña Catalina de Zuñiga y Sandoval.
Fernando Luis de Castro (1548-1601), VI conte di Lemos, Villalba e Andrade, III marchese di Sarria e grande di Spagna, appartenente ad un casato assai vicino alla corona, sposò nel 1574 Catalina de Zúñiga y Sandoval, sorella del futuro duca di Lerma. Sia i Lemos che i Sandoval soffrivano di ristrettezze economiche, e anche per questo il conte frequentava raramente la corte, rimanendo nei possedimenti galiziani, dove ebbe modo di distinguersi nella difesa contro le scorribande dei corsari inglesi. Fu ammesso all'Ordine di Calatrava nel 1575, succedette ai titoli alla morte del padre nel 1590, e nel 1599 diede avvio alla folgorante carriera diplomatica che da Roma, banco di prova per una carriera politica, lo portò alla carica di Vicerè a Napoli, dove le fonti storiche ricordano la partecipazione attiva alla messa in opera del Palazzo Reale.
L’emblema dovrebbe riferirsi al marchese, alla moglie o ai due congiuntamente, e la presenza della corona marchionale indica probabilmente il periodo in cui succede ai titoli paterni, e quindi a partire dal 1590.
Il grande piatto appartiene a un servizio di cui sono noti altri quattro pezzi: una fiasca da pellegrino al British Museum (inv. n. WB.64.b), una fiasca da pellegrino con spirali in rilievo al Museo d'Arte di Saint Louis (inv. n. 37:1925a,b), una saliera al Museo Braunschweig (inv. n. Z.L.V 7264) e un fiasco con manico sovrastante e istoriato, dipinto con soggetti marini, di proprietà della Fondation Bemberg di Tolosa. Le mani dei pittori coinvolti nella realizzazione del grande servizio sembrano, come ovvio, differenti, e la stessa realizzazione dell’emblema ne è una chiara testimonianza.
La pubblicazione da parte di Franco Negroni di una parte della documentazione dell'archivio di Urbino ha permesso di avere notizie circa una serie di importanti commissioni affidate alla bottega di Francesco Patanazzi. Nel 1593 Isabella Della Rovere, figlia di Guidobaldo II, duca di Urbino, e sorella del duca regnante Francesco Maria II, aveva ordinato a Francesco Patanazzi un servizio di maioliche da regalare alla moglie del viceré spagnolo di Napoli, Juan de Zuñiga, conte di Miranda, servizio del quale sopravvivono oggi tre piatti. Cesare d'Avalos, in una data non precisata, aveva acquistato da Patanazzi varie ceramiche per donarle alla moglie di uno dei viceré. Nel 1599 ancora Isabella infine aveva commissionato a Patanazzi, tramite Giovanni Bernardino Albani di Urbino, un'altra serie “di vasi historiati et a grottesco” e con “l'arme della Viceregente che ha da aver dipinti sopra i vasi et piatti di detta credenza”, e quindi un dono per la moglie del Viceré. Il corredo doveva ricalcare quello eseguito nel 1593, ma ampliato fino a contare 377 pezzi, e nell’occasione la principessa specificava che “non solo doveva avere l'istoria variata, ma doveva essere accresciuta in grazia e bellezza per quanto possibile”. Detto servizio doveva essere consegnato nel marzo del 1600, e quindi presumibilmente, visto che come detto il conte di Lemos era giunto a Napoli nel luglio del 1599 per assumere l'incarico, la destinataria del servizio doveva essere la moglie Catalina. Alla luce di queste informazioni sembra molto probabile che i quattro pezzi noti con le armi del conte e della moglie, a cui associamo l’opera in studio, facessero parte di questa grande e importante commissione.
Anche Timothy Wilson, che con Dora Thorthon ha pubblicato la fiasca del British Museum, ha proposto la datazione del servizio al 1599-1600, posteriore a quella suggerita in base al confronto stilistico con il servizio Este-Gonzaga Ardet aeternum, databile al 1585.